Dopo avere lasciato un lavoro da manager e da vice segretario Confartigianato, coltiva la sua passione per l’arte di strada portando nelle sue opere un messaggio sociale: “ognuno è le scelte che fa”. Tra l’icononico KISS ME, il ranocchio antropomorfo, Love me or Like Me, lo abbiamo incontrato in occasione dell’allestimento del nuovo Wallsaved, la sua personale, presente alla Galleria Deodato Arte dal 30 marzo.
Come ti sei approcciato la prima volta al mondo dell’arte e cosa ti è rimasto impresso?
Il mio primo approccio con l’arte è stato caratterizzato da un mix di emozioni; le più forti sono state la fascinazione e la contaminazione. Al ritorno da una mostra su Leonardo Da Vinci, infatti, ho riprodotto un suo studio sul muro della mia camera da letto. Ai miei genitori è piaciuto molto e, inaspettatamente, mi hanno incentivato a proseguire dando massima libertà alla mia espressività murale. Ho proseguito dipingendo sui muri, dentro e fuori casa, con lo stile dei maestri che di volta in volta hanno contribuito a definire la mia sensibilità artistica (da Caravaggio a Warhol), cercando di aggiungere sempre un tocco personale. Il mio primo approccio, pertanto, è stato proprio su un muro, dove ho scoperto il talento di saper disegnare e un innato senso delle proporzioni.
Sei passato dall’essere business manager in un’azienda ad essere street artist. Da cosa è nato questo bisogno?
Il business manager e lo street artist hanno convissuto e tuttora coesistono rendendo possibili certe scelte diversamente inspiegabili. Per uscire di notte e aggirarsi per le città deserte lasciando i propri messaggi sui muri, ci vuole una certa dose di incoscienza o di follia. Bisogna avere “fame”, avrebbe detto Steve Jobs, la stessa fame e la medesima follia con cui si ribalta la scrivania lasciando il certo per l’incerto e seguire i propri sogni. Fame di libertà. Quella libertà che come manager non potevo esprimere pienamente. La libertà è vita e quella urgenza, quel bisogno espressivo, nasce dal bisogno di libertà che ad un certo punto non si può più contenere. L’artista è libero per definizione.
Da Pier Paolo Perretta a Savethewall. Come mai questo nome?
Anche in questo caso, Pierpaolo e Savethewall sono esattamente la stessa cosa. Decidendo di lasciare i miei messaggi in strada, non avrei mai potuto farlo illegalmente per via della mia educazione e del forte senso civico. Così, coerentemente, ho trovato il modo di farlo, affiggendo i miei cartoni e le mie carte da pacchi sui muri con nastro adesivo personalizzato. Un espediente che consentiva di “salvare il muro” dai miei scarabocchi. Questo comportò un grande vantaggio: l’attenzione dei passanti non era distratta e viziata da un atto vandalico bensì tutta concentrata sulla mia opera. Non solo, essendo stato il primo a fare questa scelta, sono riuscito a ritagliarmi un piccolo spazio tutto mio nel mondo dell’arte urbana, quello del “writer gentiluomo”. E Pier Paolo, prima di tutto, è un gentiluomo. Non poteva non esserlo anche l’artista che è in me…”Mr. Salva il Muro”.
Pensi che la street art oggi sia stata totalmente sdoganata e possa suscitare interesse anche per un rango sociale più elevato?
Trovo curiosa l’espressione “rango sociale più elevato” e se la street art è riuscita, come lo è, ad uscire dalla fruizione dei ranghi sociali meno elevati facendosi apprezzare e capire anche dai più blasonati, direi “chapeau!”; sono decenni che leggo che l’arte dovrebbe essere fruita da tutti: la street art ci è riuscita. A questo si deve parte del suo grande successo.
Come e quando arte e fotografia si incontrano?
Mi viene subito da domandarmi come e quando io ed Emanuele Scilleri, il mio fotografo, ci siamo incontrati. Non solo, dopo esserci incontrati abbiamo lavorato insieme. Non solo, siamo restati insieme anche dopo il lavoro. Per me arte e fotografia sono un po’ come me ed Emanuele. Vediamo le stesse cose, e per questo il nostro dialogo continua da tempo, ma le esprimiamo in maniera diversa, con linguaggi e strumenti diversi.
C’è un artista del passato che ha influenzato il tuo modo di fare arte ?
Tanti. Amo, su tanti, il libro di Austin Kleon “Ruba come un artista”. Io ho rubato a tanti ma su tanti voglio citare due che in particolare sono stati il mio occhio destro e il sinistro: Banksy e Manzoni. Ma proprio come sostiene Kleon, rubare agli artisti che ci hanno ispirato è normale se ad un certo punto si trova la propria strada. É passato tanto tempo da quando fui definito il Banksy italiano. Capita a tanti artisti che usano lo stencil. Ora ho il piacere di essere riconosciuto come Mr. Savethewall grazie alla mia ricerca, alla mia crescita, dai ranocchi in abito elegante ai miei Wallsaved. Ora Banksy e Manzoni li ho nel cuore.
Come nasce un’opera di Savethewall? A cosa ti ispiri?
L’opera di Savethewall nasce dalla mia quotidianità, fortunatamente (o sfortunatamente), una inesauribile fonte di ispirazione. Da sempre ho scelto di mettere al centro della mia attenzione personale, prima ancora che artistica, la famiglia. Tutto parte dalla famiglia o dal suo essere non-famiglia. Una delle mie opere di maggior successo, infatti, è proprio “la famiglia del mulino bianco non esiste”. É terapeutica. Mi fa (e fa) stare bene. É da sempre appesa sul muro principale di casa mia. Prima un piccolo quadretto, ora un intero wallsaved dedicato, ma sempre con la bambina che dà fuoco al dannoso stereotipo della perfezione. Dalla famiglia alla società il passo è breve. Anche la società, in tutte le sue sfaccettature, è oggetto della mia ricerca. Sociologia, filosofia, psicologia, economia…sono tutti punti di osservazione al vaglio del quale sottopongo quanto vedo prima di tradurlo in immagini nel mio linguaggio, con la mia poetica.
Ti sei mai trovato in una situazione di timore nel realizzare un’opera che possa suscitare un forte scalpore? Se sì, hai evitato di realizzarla o hai trovato coraggio e ci hai provato ugualmente?
Non ho mai avuto timore di esprimere i miei pensieri. Quindi non ho mai posto un limite alle mie opere. Quello che è davvero limitante è il politically correct, che riesco tuttavia ad aggirare dando ai miei lavori “profonda leggerezza”, cosicché chi guarda la mia opera può fermarsi ad un primo livello, spesso così leggero da far sorridere e, ad una più attenta riflessione, provare ad andare in profondità generando il dubbio che lo scalpore sia solo dentro nello spettatore (l’arte come la bellezza è negli occhi di chi guarda).