Quando entriamo nella sua locanda, il primo a venirci incontro è Groove, un bassottino tutto nero, dal musetto furbino e lo sguardo dolce; è vecchiotto Groove, e non vede più. Ma fa buona guardia al ristorante della sua padrona: guai a entrare se non è lui a darti il benvenuto. “Non dà volentieri confidenza agli estranei”, ci raccontano i collaboratori dello chef. Eppure a noi riserva attenzioni e tenerezze, mentre ci fa le coccole strusciandosi contro le nostre gambe. È attento, Groove, a quello che accade intorno a lui, e soprattutto attorno ad Alice. E così ecco che, mentre ci apprestiamo a iniziare l’intervista, si appallottola sul cuscino rosso della sua poltroncina preferita e, con apparente nonchalance, ascolta con attenzione ciò che accade nella stanza.
Alice Delcourt è la giovane chef dell’“Erba brusca”, ristorante alle porte di Milano, sul Naviglio Pavese. Padre francese, mamma inglese, ha vissuto gran parte della sua vita in America. Da otto anni si è trasferita in Italia, dove conduce una vita “il più possibile green”.
In che senso?
Vado in bici praticamente ovunque, non ho mai comprato una macchina, che uso solo in casi di estrema necessità e noleggiandola, faccio la raccolta differenziata, cerco di non sprecare l’acqua, utilizzo per la mia cucina per lo più prodotti a chilometri zero e del mio orto. Faccio del mio meglio, insomma, ma vorrei poter fare molto di più, magari coinvolgendo solo produttori locali, “bio”, nel totale rispetto dell’ambiente. Non è impossibile, difficile sì, soprattutto quando in cucina si è in cinque ai fornelli. Purtroppo manca la cultura: nessuno alla scuola alberghiera ti insegna più ad avere rispetto dell’ambiente, a non sprecare.
A proposito di bici, pedala lei ma fa pedalare anche i suoi clienti…
Già (ride). All’ingresso le biciclette dell’Erba Brusca sono a disposizione dei clienti per passeggiate sul lungo fiume…
Da dove nasce l’idea dell’orto?
In America ci sono tante fattorie con ristorante. E ovviamente con l’orto sul retro. Vedere da dove arrivano i prodotti ti aiuta a capire cosa mangi, la genuinità dei prodotti. Ora il nostro orto è ancora piccolo, diciamo che è un micro-esperimento; da lì provengono le insalate che serviamo in tavola, i pomodori e tutte le erbe aromatiche che utilizziamo in cucina. Ma voglio svilupparlo di più; vorrei avere più terreno per rifornire del tutto il ristorante.
Cosa ci dice delle sue origini? Quali sente più forti in lei?
Mi sento soprattutto americana, perché è lì che ho vissuto la maggior parte della mia vita.
Chi le ha trasmesso l’amore per la cucina?
La mia nonna inglese, che era una grande cuoca, e uno zio materno, che ha aperto diverse catene di ristoranti a Londra. È stato lui il primo a portarmi in Italia, a Bologna per la precisione, a farmi conoscere i sapori della cucina italiana e la cultura di mangiare al ristorante. Sarà strano, ma è la mia parte anglosassone che mi ha influenzato nell’arte culinaria. Mia nonna era un po’ come le classiche nonne italiane, preparava tutto in casa, a mano. E io in questo sono molto simile a lei. La mia parte francese la ritrovo invece in quei sapori che mi rendono vivi i ricordi, che mi riportano alla mente vecchie emozioni. Quei sapori li rielaboro e li faccio miei.
Cucinare è più istinto o razionalità?
La cucina in generale è istinto, la pasticceria assolutamente razionalità.
In cucina è più importante la memoria o l’ispirazione?
Ahimè spesso mi dimentico le ricette. Tante le scrivo, tante invece sono basate sull’istinto. Mi piace molto sperimentare, essere libera di esprimermi quando sono ai fornelli. Diciamo che, senza ricette scritte, è più che altro difficile per chi lavora con me starmi dietro.
Quello della cucina è un mondo maschilista. Quanto è stato difficile emergere?
Molto maschilista (sorride). Ma sono stata fortunata, dato che ho potuto fare una cosa tutta mia, ossia aprire un ristorante tutto mio; ma anche quando ho lavorato nelle cucine di altri chef sono sempre stata accettata bene e mi hanno insegnato moltissimo.
Ha un maestro in particolare?
Sicuramente Viviana Varese, del ristorante Alice, che mi ha fatto crescere, dandomi lo spazio per imparare, sbagliare, sperimentare. A lei devo molto. È una gran donna: ha fatto tutto da sola, non ha mai lavorato per qualcuno. Per ben sette anni ha lavorato ogni giorno, senza mai una pausa, una vacanza…
La cucina è passione pura…
Una passione che a un certo punto, però, rischia di farti male, diventando come quegli amori malati che ti distruggono, ma di cui non puoi fare a meno.
Altri maestri?
Andrea Provenzani, del Liberty, e il River Cafè di New York, per la modalità unica dell’organizzazione della cucina.
Qual è il piatto che predilige cucinare?
Amo tantissimo preparare i dolci, anche se molti chef non vogliono farli. La pasticceria richiede tanto tempo, non puoi avere fretta né mettere fretta alla torta che cuoce nel forno. Devi solo aspettare i suoi tempi.
Quale deve essere l’obiettivo di un cuoco moderno?
I cuochi di oggi, soprattutto quelli stellati, spesso sono lì più che altro per stupire. Per me il cuoco, invece, deve fare cibi che conquistano, far stare bene chi li assapora, facendo scoprire nuovi aromi o emozionando riportando a galla i ricordi più piacevoli.
Un po’ come la madeleine di Proust?
Esattamente. Noi abbiamo inoltre una grande responsabilità, ossia quella di far capire cosa voglia dire mangiare certi prodotti, da dove arrivino, l’impatto ambientale. Io uso prodotti che costano di più, ma sono felice perché rispetto di più l’ambiente e so cosa servo ai miei clienti.
La cucina di oggi è cultura o business?
Ormai è business, però sfortunatamente per me non lo è ancora (ride). Però quando diventa business si risparmia su tutto, compresa la qualità, e si fanno scelte a volte non etiche. Per me è ancora cultura. Fortunatamente.
Quale ingrediente non deve mai mancare nella sua cucina?
Le verdure in generale. Ma anche i limoni sotto sale e le acciughe.
Che differenza c’è tra uno chef e un cuoco?
Lo chef mi dà l’idea di qualcuno che non cucini più, che gestisce la cucina e il personale, più che altro. Farsi chiamare chef rende molto forte una gerarchia che io cerco di evitare. La cuoca…(ride)…pulisce ancora la cucina…
Aspetti positivi e negativi del suo lavoro.
L’aspetto più positivo è sicuramente che si vedono subito i frutti della mia fatica. Il rischio sono le critiche dirette che ti arrivano, che fanno male, ma fanno anche crescere, se costruttive. L’aspetto negativo è che non vado al cinema da cinque anni…
Tradizione e innovazione si sposano in cucina?
Si. Ormai, è brutto dirlo, nessuno inventa più niente dal nulla. Si pesca sempre nelle proprie tradizioni, nei sapori che ti riportano alla mente emozioni e sensazioni, e poi li si rielabora.
Una ricetta per conquistare un uomo…
Salsiccia e patate o purè. Così non sbagli mai (ride).
E per conquistare una donna?
Sicuramente i dolci.
E per conquistare Alice?
Un buon vino. Anzi, dello Champagne, che non fa mai male…
Si dice che gli chef non siano una buona forchetta e non amino mangiare…
É vero. Ma più che altro per la vita frenetica che conduciamo. I maschi sono anche peggio delle donne, amano una cucina tecnica, non provano gioia quando mangiano una cosa buona e salutare. Noi cuochi ci cibiamo in effetti male, perché non abbiamo tempo: si mangia quello che c’è e in piedi. Peggio di così…
Qual è il suo piatto forte?
I legumi, che sono un ingrediente dimenticato. Ceci, lenticchie, fave…sono buonissimi. E poi la cacciagione, soprattutto il piccione, che fa un po’ ritorno al passato, quando era un piatto lussuoso.
Deve cucinare per un ospite esclusivo. Cosa prepara?
A uno straniero farei conoscere i prodotti più genuini della cucina italiana: olio, aglio fresco, pomodori di stagione. Una bruschetta ai sapori dell’Italia, insomma. Se dovessi cucinare un piatto chic, allora presenterei una testina di vitello in cassetta e scottata.
Qual è il piatto ideale per stupire?
Sicuramente fa una scena pazzesca lo stinco di vitello o di agnello intero e servito sull’osso.
In tv spopolano programmi di cuochi, chef, cucina. Parteciperebbe a un reality show o a trasmissioni-gare tipo Master Chef?
Ho fatto diverse cose in tv. Sono stata ad esempio da Benedetta Parodi e mi sono divertita molto. È una bella vetrina, ti permette di farti conoscere e farti pubblicità. Ma non lascerei mai la mia cucina…
E ora spazio a una ricetta di Alice Delcourt. Siamo certi che farete un figurone…
Ristorante Erba Brusca
Alzaia Naviglio Pavese 286
20142 Milano – 02 87380711
Da mercoledì a domenica, pranzo e cena
http://www.erbabrusca.it/
(di Silvia Tironi)