Alla 81ª Mostra del Cinema di Venezia, tra le proiezioni speciali fuori concorso, ha catturato l’attenzione: Leopardi – Il poeta dell’infinito, miniserie di Sergio Rubini destinata a Rai Uno. L’opera, in due puntate, si propone di raccontare la vita e il pensiero di uno dei più grandi poeti italiani, Giacomo Leopardi. Con una sceneggiatura firmata dallo stesso Rubini insieme a Angelo Pasquini e Carla Cavalluzzi, il film si addentra nei meandri della biografia leopardiana, intrecciando passato e presente in un affascinante gioco di flashback.
La narrazione si apre su una nota controversa: la sepoltura di Leopardi. Morto a Napoli durante l’epidemia di colera, il poeta avrebbe potuto finire in una fossa comune, ma il suo amico Antonio Ranieri (Cristiano Caccamo) pare lo abbia salvato, inumandolo in una cripta. Eppure, il mistero resta: i resti conservati nella tomba sono davvero quelli del poeta? Rubini sceglie di partire proprio da questa incertezza, utilizzando la bara come simbolo del mistero che circonda la vita di Leopardi, interpretato da un convincente Leonardo Maltese.
Il film segue una struttura classica, presentando i momenti chiave della vita di Leopardi: il rapporto difficile con il padre (Alessio Boni), la scoperta della letteratura, l’abbandono della carriera ecclesiastica, l’amicizia con Pietro Giordani (Fausto Russo Alesi), i problemi di salute e la censura. Ma ciò che distingue Leopardi – Il poeta dell’infinito da precedenti biopic è la sua attenzione ai sentimenti non detti e ai legami personali. Ranieri, grande amico del poeta, diventa la voce narrante che ci guida attraverso i ricordi, esplorando la complessità emotiva di un uomo segnato dalla sofferenza e dall’insoddisfazione.
Il film cerca di andare oltre la semplice biografia, immergendosi nell’universo filosofico di Leopardi. Le poesie, benché presenti, restano in secondo piano rispetto alle riflessioni esistenziali del poeta, espresse soprattutto attraverso le Operette Morali. Il ritratto che ne emerge è quello di un uomo costantemente in lotta con i propri limiti, sia fisici che mentali, ma capace di volare alto con l’immaginazione, trovando nella poesia un modo per superare le barriere imposte dalla natura e dal destino.
Visivamente, Leopardi – Il poeta dell’infinito soffre inizialmente di una certa rigidità estetica, comune ai film in costume italiani. Tuttavia, Rubini riesce a superare questa impasse, offrendo sequenze visivamente potenti che riflettono il tumulto interiore del protagonista. Le scene che accompagnano la lettura de L’infinito e La ginestra sono particolarmente suggestive, mentre l’assenza di riferimenti allo Zibaldone, il diario personale di Leopardi, lascia un piccolo vuoto nella narrazione.
In definitiva, Leopardi – Il poeta dell’infinito è un’opera che, pur non priva di difetti, riesce a restituire con passione la figura di un poeta iconico, esplorandone tanto il genio quanto le fragilità umane. La miniserie di Rubini non si limita a celebrare Leopardi come monumento della letteratura italiana, ma lo ritrae come un uomo vero, capace di trascendere la sua condizione mortale attraverso l’arte e il pensiero.