Willie Peyote: “Con la musica mi piace sperimentare, ma è fondamentale rimanere coerente in quello che faccio”

Willie Peyote racconta il suo percorso musicale, tra sperimentazione, autenticità e l’importanza di incontrarsi davvero per creare arte.

di Angelica Malaguti

Willie Peyote, pseudonimo di Guglielmo Bruno, è una delle voci più originali e innovative della scena musicale italiana. Nato a Torino nel 1985, ha saputo distinguersi grazie alla sua capacità di mescolare rap, cantautorato, ironia e critica sociale. Dopo una formazione che ha spaziato tra generi diversi, tra cui rock e punk, ha trovato nel rap il terreno ideale per esprimere il suo stile unico, fatto di testi taglienti, sarcasmo e una profonda riflessione sulla società. Dai primi album come Il manuale del giovane nichilista (2011) a successi più recenti come Pornostalgia (2022), Willie ha dimostrato una continua evoluzione musicale, mantenendo sempre un approccio sincero e coerente con le sue idee. Vincitore del Premio della Critica Mia Martini al Festival di Sanremo 2021 con il brano Mai dire mai (la locura), ha partecipato a numerosi progetti di grande rilevanza. A questo proposito, sarà uno dei protagonisti del Jameson Distilled Sounds, un nuovo format che arriverà a breve in Italia con 3 grandi appuntamenti live a Roma, Milano e Torino.

Nel corso della tua carriera hai esplorato tanti generi e collaborazioni molto differenti tra loro. C’è un filo conduttore che lega tutto ciò che fai nella musica?

Secondo me sì. È vero che ho sperimentato molti generi diversi e collaborato con artisti molto distanti tra loro, ma il filo conduttore è sempre stato cercare di fare qualcosa che piacesse a me e alle persone con cui lavoro. Penso che la sincerità sia fondamentale: ciò che faccio, dai testi alla musica, deve essere autentico e coerente con quello che sono.

Partendo da Torino, sei diventato uno degli artisti più originali della scena italiana. Come vedi il tuo percorso finora?

Non è mai facile vedere se stessi e raccontarsi. Preferisco che siano gli altri a definire il mio percorso. Quello che cerco di fare, e che spero di essere riuscito a fare, è mantenere una coerenza rispetto a ciò che volevo realizzare quando ho iniziato. È una domanda che mi pongo spesso: sto rimanendo fedele a quello che volevo essere?

Sei noto per mescolare ironia e critica sociale. Hai mai avuto il timore che il tuo messaggio potesse essere frainteso?

Succede spesso che i messaggi vengano fraintesi, soprattutto oggi, dove si tende a decontestualizzare le frasi. Credo però che spetti a noi artisti fare il possibile per essere chiari. Ogni tanto succederà lo stesso, non deve diventare un’ansia o una paura, ma un impegno. Certo, può capitare che qualcosa venga frainteso, ma cerco di lavorare per evitarlo, dipende anche da noi. 

Hai detto che la musica autentica nasce dall’incontro vero tra artisti. Credi che il contesto digitale abbia cambiato questa dinamica?

Probabilmente sì, ma io sono di una generazione precedente all’era digitale. Sono abituato a costruire rapporti basandomi sulle sensazioni a pelle, sulla conoscenza e stima reciproca che si sviluppa lavorando insieme. Non ho mai avuto grossi problemi nel rapportarmi con gli altri, sia nell’ambito lavorativo che non. Il mio approccio resta molto analogico, personalmente non mi sento particolarmente cambiato dall’avvento del digitale. 

Jameson Distilled Sounds arriverà a breve anche in Italia. Puoi spiegare di cosa si tratta a chi non conosce il progetto e raccontarci cosa ti aspetti da questa esperienza?

È un progetto molto interessante e ambizioso. L’ho conosciuto partecipando a una settimana di lavoro a Cork, in Irlanda, insieme ad altri artisti da tutto il mondo. L’ambasciatore del progetto è Anderson .Paak, uno dei miei artisti preferiti, e il concept ruota attorno alla creazione musicale, con un focus particolare sia i processi creativi che i live. Jameson parla di “distillazione del suono”, un’idea che unisce l’arte della musica a quella della preparazione del whiskey. Per me è stata un’esperienza formativa e stimolante, che mi ha permesso di confrontarmi con artisti di culture e background diversi. Ora porteremo questa energia in Italia, a partire dal live del 5 dicembre a Roma. Per me, il live è sempre il luogo più naturale, dove mi sento più a mio agio.

Guardando al futuro, ci sono nuovi progetti musicali o collaborazioni che puoi anticipare?

Progetti ce ne sono sempre. Ora siamo concentrati sul completamento del disco Sulla riva del fiume,  che è uscito con i primi sei pezzi ad aprile, altri due a ottobre, e a breve concluderemo questo progetto che abbiamo deciso di comporre in maniera modulare. Per quanto riguarda collaborazioni o nuove idee, preferisco lasciare un po’ di mistero. Posso dire che ci sono tante cose in cantiere, ma non voglio spoilerare troppo.

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