Vivere è un abuso, mai un diritto. Ritorna in scena l’attore e regista perugino, Filippo Timi. Ritorna con il suo Don Giovanni, un’ardita rivisitazione in chiave pop e moderna del personaggio reso celebre dall’opera di Da Ponte-Mozart. Dell’opera originaria il regista mantiene poco, l’essenziale. Già la prima scena è un chiaro rifiuto della tradizione. Un uomo arresosi al suo destino giace su un letto iniettandosi una dose di eroina.
Rivelatore già il sottotitolo: vivere è un abuso, mai un diritto. Cinismo e brutalità scandiscono le scene dell’opera. Il celebre tombeur de femmes, rivisitato in chiave quasi demoniaca, sembra perdere il ruolo di protagonista per assurgere a quello di un virus che contagia un’umanità ormai alla deriva. Tutto è esagerato, strabordante, esasperato: la scenografia, i costumi, il linguaggio dei personaggi. La colonna sonora è inaspettata. Arditi gli accostamenti, dalla lirica al pop mescolando sigle di cartoni animati a capolavori dei Queen e dei Pink Floyd.
Lo spettacolo raggiunge il massimo della completezza propria alla finzione teatrale grazie anche a una scenografia (anche questa studiata da Timi) in continua mutazione, fatta da pareti mobili, teli che scorrono e da un pavimento illuminato, e grazie ai costumi studiati da Fabio Zembernardi (collaboratore storico della maison PRADA)che estremizzando in chiave Fetish le componenti dei personaggi con capppotti fatti di parrucche, vestiti di pellicce, di cuoio con frustino/nastro artistico in coordinato, corpetti in colori pastello e pantaloni fatti di mini-rouches, ha creato un vortice di texture che sconvolgono lo spettare.
Caos e blasfemia, eccessi e contraddizioni sono le chiavi di lettura del personaggio mozartiano. Ma il regista va oltre riuscendo a caratterizzare l’intero cast e per il suo tramite l’intera umanità in un gioco di passioni e pulsioni che nonostante tutto cattura lo spettatore in un viaggio emozionante e introspettivo nei reconditi misteri della natura umana.
(di Ilenia Ferrante e Giulia Rozza)