In memoria di David Foster Wallace (DFW) il 10 settembre 2013 Einaudi dà alle stampe l’edizione italiana di “Di carne e di nulla”. Perché a cinque anni dalla scomparsa dello scrittore a 46 anni, come accade per i grandi traumi collettivi, molti lettori ricordano ancora dove si trovavano e cosa stavano facendo il 12 settembre 2008.
L’amore ai tempi dell’Aids, gli effetti sugli ideali americani dell’11 settembre, ma anche di Guantánamo, perché scrivere è tanto difficile e divertente, e tanti altri nodi e ossessioni nel libro “Di carne e di nulla”, un corposo volume che raccoglie tutta la non fiction di DFW: riflessioni sull’arte e suo ruolo nel mondo di fine millennio, considerazioni sul cinema e note di costume, due importanti interviste nonché un’esilarante conversazione con il regista Gus Van Sant.
L’Italia fu il primo Paese a riconoscerne la genialità, grazie alla casa editrice che ne acquistò i diritti e che nel 2000 pubblicò il suo romanzo più celebre, “Infinite Jest”, uscito in Germania nove anni più tardi. E nel 2006 DFW venne a Capri vincendo la fobia per l’aereo: era la prima volta che lasciava gli Stati Uniti. Amava Italo Calvino e la matematica, e si divertiva a inventare parole nuove, come scrisse in una lettera: “Fiction for me is a conversation between me and something that May Not Be Named. God, the Cosmos, The Unified Field, my own psychoanalitic catexies, Roqoq’oqu”.
Da “Una cosa divertente che non faro mai più” a “Considerata l’aragosta”, da “Tennis, tv, trigonometria e tornado” a “Il tennis come esperienza religiosa”, il saggio letterario e il reportage hanno segnato, in contrappunto continuo con le opere narrative, la carriera di David Foster Wallace, e “Di carne e di nulla” ne è la riprova.
I suoi contributi alla letteratura potrebbero essere elencati a forza di “eccetera”, in onore del termine che era solito usare, fino a “The best mind of his generation”, definizione del New York Times per il saggista e romanziere americano una settimana dopo la sua morte.
(di Giada Bertini)