Nella vita siamo sempre spinti da un duplice istinto: quello di esplorare, di cambiare, di sperimentare e quello di conservare, di rimanere, di proteggerci. Oscilliamo costantemente tra questi due poli, che talvolta possono entrare in conflitto, creandoci non poche difficoltà quando siamo chiamati a prendere posizione o semplicemente a scegliere .
Il cambiamento, la novità e ciò che ci è sconosciuto, da un lato ci attraggono, ma dall’altro ci respingono, perché portano con sé il rischio, l’incertezza e la possibilità di un fallimento. Quando avvertiamo la fatica d’investire in una situazione nuova, quando ci chiudiamo nelle nostre convinzioni, quando una voce interiore ci dice che non ne vale la pena, allora è possibile che ci stiamo arenando nella sicurezza del noto, delle nostre abitudini e della nostra quotidianità. Possiamo mostrarci restii al cambiamento anche quando, pur trovandoci di fronte a situazioni non appaganti o dolorose, “decidiamo” di portarle avanti in quanto conosciute, e pertanto, rassicuranti.
Questo meccanismo non di rado si manifesta anche all’interno di un percorso psicoterapico. Nel momento in cui ci si trova ad affrontare il cuore del problema e ci si scontra con la necessità di una consapevolezza più profonda e di un conseguente cambiamento, possono comparire forti resistenze che talvolta inducono il paziente ad abbandonare la terapia stessa. Talvolta attaccandola, come faceva Ilaria, che non riuscendo ad accettare la fine della propria relazione sentimentale su cui si stava lavorando, affermava che la terapia non solo non la stava aiutando ma che addirittura la faceva stare peggio e che quindi era intenzionata ad interromperla. O come Franco, che piuttosto di ammettere la propria invidia negativa nei confronti degli altri, tendeva a vedere nemici ovunque, anche nel terapeuta stesso, dal quale pensava di volersi allontanare.
Come convivere con queste due opposte spinte la cui gestione rappresenta il senso stesso dell’esistenza?
Occorre essere consapevoli che, in definitiva, il cambiamento non può essere rifiutato, perché questo risulta incompatibile con le continue richieste di adattamento che la vita ci pone. Resistere al cambiamento è in qualche modo una sorta di ‘non-vivere’ che ci espone al fallimento preventivo, perché come bene scrive Neale D. Walsh: ‘Quello che tu resisti in realtà persiste, quello che invece tu accetti scompare’.
Ma ogni cambiamento – per essere un reale cambiamento – deve essere fedele al ‘Sé’ interiore, a quella che Jung definiva ‘anima’, ossia la nostra vera essenza. In questo senso è importante un lavoro introspettivo costante su di sé, da soli o accompagnati, per aumentare la conoscenza e la consapevolezza di sé. Da questo percorso è possibile raggiungere una maggior obiettività rispetto ai propri punti di forza e di debolezza, alle zone d’ombra, alle aspirazioni più profonde; tutti aspetti che è indispensabile conoscere per orientarci nelle scelte e trovare il coraggio di accogliere ciò che ci attrae ma è nuovo, ciò che ci affascina, ma ci spaventa, ciò che ci stimola ma pare irraggiungibile. Siamo esseri complessi ma proprio in questo risiede la nostra bellezza.
Dott.ssa Laura Tirloni
Psicologa e psicoterapeuta
Gent.ma Dott.ssa Tirloni,
ho apprezzato molto il suo pezzo. Senza scendere in tecnicismi da psicoterapeuta ha chiarito cosa comporti il cambiamento. Io stessa ho scelto di assecondare il mio Sè interiore e rompere con il passato. Ma non Le nego che comporta una fatica enorme, soprattutto quando di mezzo ci sono bambini piccoli. Reputa che sia sempre necessario un aiuto da un esperto o si possa anche trovare da soli le risorse per aiutarsi nel percorso?
Gent.le lettrice, ci vuole coraggio e onestà per invertire una rotta e trovare nuovi equilibri di vita, e talvolta è un percorso in salita. Siamo noi stessi, il più delle volte, a renderci conto quando quella salita diventa così ripida da risultare impraticabile. Sono quelli i casi in cui dobbiamo riconoscere di avere bisogno di aiuto. Accettare una debolezza, come sempre, è solo segno di forza.
Gentile dottoressa,
mi sembra che nel suo articolo manchi completamente la figura dell’altro, chi è oggetto magari involontario di un cambiamento di rotta da parte del paziente. cosa può aggiungere in merito?
grazie
Ogni cambiamento nella vita di un individuo può essere, almeno in parte, riconducibile all’influenza del suo ambiente sociale e relazionale. In altri termini, nel momento in cui entriamo realmente in contatto con un’altra persona già ci stiamo aprendo al cambiamento. Si tratta di un processo inevitabile e decisamente auspicabile. Ciò che ci consente, nel bene e nel male, di evolverci, sempre. Continui a leggerci.