Radio, TV, web, digitale e poi?… Andrea Pellizzari, aka Mr. Brown, ci accompagna nel mutevole mondo della comunicazione
Sguardo basso, passo deciso, rallenta leggermente per salutare con un cenno della mano e un timido sorriso, per poi riprendere la marcia. Si accomoda silenziosamente su di una sedia, dietro ad un tavolo. Questo è lui: Andrea Pellizzari, noto ai più per aver impersonato l’equivoco Mr. Brown, professore intenzionato ad insegnare l’inglese agli italiani nel programma televisivo Le Iene.
“Camaleonti mediatici”, questo è il titolo dell’intervento del conduttore, presso il Centro Culturale San Gaetano di Padova. Tema inteso come concetto di movimento attraverso i media. Un’analisi dei cambiamenti della comunicazione radiofonica e televisiva nel tempo, tramite il percorso professionale di questo interessante ospite. Il tutto moderato da Marco Momo Bernar: dj e fonico, si occupa di musica dalla metà degli anni ’90, a trecentosessanta gradi. Scrive, interviene in programmi radiofonici, webzine e riviste specializzate. Volto noto nel padovano e limitrofi per i suoi dj-set in importanti locali e manifestazioni.
La carriera di Andrea Pellizzari iniziò come dj radiofonico, nel 1982, presso una radio locale di Udine: Radio Canale 49. Scoprì la passione per la radio molto giovane, a nove anni, ascoltando quelli che erano i primi programmi radio di musica a richiesta. Come lui stesso testimonia : «…io alla sera non guardavo la televisione, ascoltavo la radio. Andavo a letto alle otto e mezza, nove, dopo cena, per ascoltare i programmi della sera…». Il suo interesse per questo mezzo di comunicazione era talmente smisurato che, all’età di quindici anni, decise di cercare dove effettivamente “si faceva” la radio.
Fu l’inizio del suo percorso.
Andrea Pellizzari: «Al tempo le radio erano strutture molto piccole, una sorta di piccole aziende artigianali il cui proprietario gestiva quasi tutto. Da queste piccole aziende io ho vissuto il passaggio da radio artigianale a quelle che sono, invece, le aziende di adesso: le radio Nazionali, che ormai hanno perso l’identità di quella che era la radio privata. Sono diventate delle vere e proprie strutture aziendali acquisite da grossi gruppi come L’Espresso, Mondadori,… Quando sono subentrati i grossi gruppi è cambiato un po’ tutto il mondo della radiofonia, è stata persa la parte principale, l’elemento vitale della radio: la spontaneità. Una volta era il dj o il tecnico che sceglieva la musica da mettere in onda. Da quando sono intervenute le grandi aziende, si è frapposto il marketing, introducendo meccanismi che hanno cambiato completamente il modo di fare radio: è cambiato il linguaggio, è cambiata la tipologia del prodotto che viene messo in onda. Oggi si parla di Radio di Flusso, ossia radio composte da programmi tutti uguali: le canzoni che ruotano sono grandi successi e sono predisposte tramite una playlist programmata da un computer. Secondo precisi parametri, il computer decide che canzone deve andare in onda e in che orario. Precedentemente vengono eseguite delle ricerche di mercato, per cercare di accontentare il pubblico dando un prodotto che, ovviamente, è sempre meno personalizzato. È molto professionale, ma ben lontano da quella che era la passione che ha generato le radio private. Dagli anni Duemila, gli Editori Puri rimasti in Italia sono solo tre, e con editori puri intendo coloro che hanno in mano e sono proprietari della loro radio. Parlo di RDS, RTL e Radio Italia».
Momo: «Con una maggiore standardizzazione della musica, la singolare intenzione dello speaker o dj diventa più importante. A parte il ruolo di intrattenitore che affronta specifici argomenti selezionati in base alla fascia oraria.»
A.P.: «Il prodotto radiofonico attuale è un prodotto marketing di flusso, quindi un prodotto che se fosse condotto da me, da te o da qualcun altro, non avrebbe molta differenza, in quanto la durata della conduzione all’interno di quello che è il flusso di musica e notizie è molto breve. In questo contesto la personalità del dj più forte è, meglio è, ma sono pochi i dj che riescono veramente a caratterizzarsi. La cosa importante della radio odierna è il mantenimento di un equilibrio tra ciò che è la parte parlata e la musica, creando una standardizzazione anche da parte dell’ascoltatore. C’è da dire, però, che stanno cambiando le cose: ad oggi il mezzo radiofonico, rispetto anche solo a cinque anni fa, è limitato ad un momento in cui si sta facendo una cosa ben precisa, come, per esempio, guidare la propria autovettura. Viene utilizzato all’interno di un periodo ben determinato. Di per sé non sta cambiando la radio, sta cambiando il modo di usufruire di un mezzo vecchissimo, che non ha saputo ancora trovare una strada nuova per rendere disponibili i contenuti. Il prodotto radiofonico sta perdendo terreno perché sembra non avere un appeal nei confronti di un pubblico molto giovane, che vive con il web. La radio, ancora, non è riuscita ad entrare nel mondo web con un certo tipo di linguaggio per riuscire a catturare l’attenzione dei giovani. Rispetto ai nostri tempi, che scoprivamo le canzoni attraverso la radio, i ragazzi d’oggi conoscono la musica tramite i social network. Avendo a disposizione tutta la musica del mondo, perché andare ad ascoltare la radio, che mi propone la peggiore musica che c’è sul mercato?»
M.: «Questo ruolo di voce fuori campo dello speaker, la voce della radio che accompagna nella quotidianità, è una caratteristica che hai tentato di portare nella carriera teatrale, dove hai quasi sempre recitato come voce narrante. C’è qualche legame con l’amore per la radio?»
A.P.: «La cosa bella di tutti i mezzi di comunicazione che ho utilizzato nella mia vita è quando ho la possibilità di raccontare delle storie e suscitare emozioni. È una trasmissione di sensazioni che viaggiano attraverso quello che potrebbe essere un palco, uno schermo, un microfono. Quello che si sta perdendo è proprio questo, nella radio di oggi: emozionare l’ascoltatore. Nella radio come in molte trasmissioni televisive, in quanto anche la televisione è diventata molto piatta. Per esempio, quando è stata trasmessa la prima edizione del Grande Fratello, è stato proposto un prodotto nuovo, con delle dinamiche mai viste, al tempo, per cui si è dimostrato un programma interessante e divertente. Poi tutto è cambiato: si è entrati nell’abitudine, è subentrata la standardizzazione che è ciò che succede abitualmente con tutti i media. Il mondo della radio, quindi, ha subito una trasformazione che si è rivelata un’involuzione, avrebbe dovuto trasformarsi in qualcosa di molto importante dal punto di vista dei contenuti e della qualità. È aumentata la professionalità, ma il contenuto è venuto a mancare. Stanno cambiando anche i programmi televisivi perché il pubblico non segue più la televisione con la stessa attenzione con cui la seguiva prima.
Le prime candid camera che ho girato in assoluto, interpretando Mr. Brown, risalgono al 2002. Durante la prima registrazione in assoluto tremavo come una foglia perché non sapevo cosa mi sarebbe potuto succedere. Prima di fare queste candid camera ero l’uomo più timido del mondo. Solo il pensiero di lasciare parcheggiata la macchina in doppia fila, dando di conseguenza fastidio a qualcuno, mi faceva stare male. Dopo cinque anni di candid camera, sono diventato una bestia, per cui posso testimoniare che la televisione cambia le persone.»
M.:«In tutti questi cambiamenti, tu sei nato dalla radio, che è il metodo di comunicazione più diffuso e più vecchio, dopo la stampa, ma sei approdato alla televisione tramite la parabola».
A.P.: «Sono un po’ testimone e ho fatto parte di molte nascite. Quando è arrivato per la prima volta il satellite in Italia, nessuno lo sa, ma il primo programma in diretta del satellite l’ho fatto io con Fabio Volo: il programma si chiamava Svegliati. Da palinsesto doveva andare in onda alle sette del mattino, a livello pratico andava in onda alle nove. Perché? Alle sette in redazione non c’era nessuno, alle otto arrivavano i tecnici, caffè, accendi la parabola, insomma, si iniziava alle nove. In realtà io iniziavo alle nove, Fabio Volo alle nove e dieci, perché arrivava sempre in ritardo, ogni giorno con una scusa diversa. Era una sorta di reality perché avevamo una camera fissa sulla cucina, in cui facevamo colazione e le nostre cose. Questo era il programma. Tale conduzione ci ha portato grande fortuna, perché era il primo programma in diretta del satellite e ci guardava Fiorello. Fiorello si divertiva a tal punto che fece i nostri nomi al direttore di allora di Italia Uno (Giorgio Gori, ndr). Le Iene erano già andate in onda il primo anno, era il 1997, ma il programma non aveva avuto grande successo, era stato inizialmente concepito come programma pomeridiano. Giorgio Gori, credendo fermamente in tale concept, decise di apportare alcune modifiche. Al tempo, quando un direttore credeva in un progetto, lo portava avanti fin quando riusciva a farlo funzionare. Diversamente da adesso che, se dopo la messa in onda il programma non funziona, viene eliminato, senza alcun ulteriore tentativo. La modifica decisa da Gori, per cercare di far funzionare questo programma satirico, fu la modifica nella conduzione, e i nomi scelti per tale new edition furono i nostri: Fabio Volo e Andrea Pellizzari. Al tempo io e Fabio conducevamo un programma in diretta da Rimini, e l’unico modo per comunicare con noi, a differenza di adesso che ci sono le email, gli sms, twitter, facebook, erano il fax o la segreteria telefonica. Mediaset, dunque, ha tentato di mettersi in contatto con noi lasciando giornalmente, per una settimana, messaggi nella segreteria telefonica del programma. Da Rimini io e Fabio Volo ci siamo diretti a Milano per sostenere il famoso provino. Quella è stata la prima volta in cui abbiamo varcato la soglia degli studi di Mediaset. Di li ad un mese abbiamo iniziato la conduzione de Le Iene.»
M.: «Tutto questo, dunque, è arrivato in televisione, la televisione in cui tu hai contribuito e collaborato anche con persone piuttosto distanti dal tuo tipico modo di condurre.»
A.P.: «La televisione funziona così: ti dicono che farai una “figata”, ti dicono che hanno pensato esclusivamente a te, perché proprio tu sei la persona giusta per fare questo programma e questo programma sarà fantastico. Tu ci credi, vai alle prime riunioni e ti raccontano delle cose bellissime. Piano, piano scopri che le cose non sono proprio così, l’intero piano cambia. Gran parte dei progetti che vedete realizzati in televisione, non sono com’erano inizialmente sulla carta. Ciò perché quando vengono confermati, passano sotto l’osservazione di talmente tante teste e punti di vista, che il tutto viene stravolto. C’è da sottolineare che molti ragionano tramite una sorta di censura preventiva, sostenendo che alcune cose non vanno fatte perché “non vanno bene”. In Italia prevale proprio questo concetto, applicato ai programmi televisivi, alla pubblicità, alla radiofonia, quasi una mancanza di coraggio nel voler osare, nel proporre cose nuove. La paura è: “se poi non funziona?”. Ci sono, ovviamente, alcuni aspetti che è giusto discutere ed aggiustare, come è successo per la prima versione de Le Iene, ma poi, tramite quel programma, abbiamo modificato quella che è stata la storia della televisione, a livello di linguaggio. Avevamo moltissima libertà e questo era un aspetto che prima di allora non c’era. Introducendo, quindi, qualcosa di nuovo, nessuno poteva dire se andava bene o non avrebbe funzionato, perché prima di allora nessuno l’aveva fatto. Ad oggi nessuno può avere tale libertà, perché è stato proposto quasi tutto e si può prevedere una reazione da parte del pubblico. Più in dettaglio, quello che è veramente cambiato è il modo di affrontare tutti i progetti. I progetti non vengono più pensati grazie alla passione che c’era inizialmente, l’approccio non ha più l’entusiasmo che si viveva un tempo, ora vi è sempre un “freno a mano tirato”. All’interno di queste aziende di comunicazione non si può più fare, proporre, modificare perché secondo noi è giusto così. Ad oggi è tutto un calcolo dall’alto. Al vertice c’è qualcuno che decide se quella proposta è giusta o sbagliata. In realtà chi decide se è giusto o sbagliato siete voi, col telecomando. A priori, quindi, il problema dei progetti che nascono ora in Italia è che non c’è un riferimento più alto, rispetto al nostro, sul modo di fare televisione. Si tenta di guardare agli Stati Uniti, ma sono talmente lontani nel modo di vedere le cose ed hanno un modo talmente diverso di fare televisione, rispetto a noi, che è difficile fare un confronto. Se paragoniamo una fiction italiana ad una fiction americana, è palese che vi sia un abisso, qualitativamente, dal punto di vista produttivo, dal punto di vista delle idee e per il tipo di meccanismo. Ciò accade perché in Italia abbiamo la tendenza ad abbassarci, ad appiattirci, proprio come sta succedendo con la radio. Gli unici picchi di genialità, che risultano poi essere i programmi storici e di maggior successo, si riferiscono a coloro che hanno avuto la forza, il coraggio e la possibilità di contrapporsi all’attuale mentalità. Hanno avuto il coraggio di fare la loro battaglia. La mancanza di volontà nel lottare è ciò che secondo me manca in tutte le odierne strutture. C’è sempre meno la possibilità di lottare perché ci mettono nella condizione di non poterlo fare, siamo tutti ricattabili perché l’idea è che il posto di lavoro è importante, se lo si perde non si va da nessuna parte, non ci sono alternative. Questo ricatto morale ed economico ci impedisce di avere la forza di cambiare le cose. A scapito di tutto ciò, però, la forza che vedo mancare nella televisione e nella radiofonia, la vedo in Internet. Sul web c’è molta vivacità, il problema, però, è grande, perché ad oggi, in questo immenso mare, ognuno può mettere ciò che vuole: contenuti di alto livello, contenuti di bassissimo livello, contenuti finti,… pertanto viene difficile selezionare i prodotti. Io ad oggi non ho ancora la capacità, nonostante i vari motori di ricerca, di trovare qualcosa che mi piace, se non dopo una lunga ed estenuante ricerca tra molti contenuti di bassissimo livello.
Viviamo in un’anomalia, e l’anomalia italiana è legata ad una televisione che dovrebbe essere per i cittadini, ma in realtà non accontenta i cittadini, accontenta la politica, perché quello è il vertice che manovra. Si tratta di un mezzo che viene utilizzato ad uso e consumo della politica per quella che è la gestione del proprio business. Il pubblico, però, si sta staccando dalla televisione. Io stesso accendo la televisione solo per guardare qualche film, o cercare programmi che mi interessa guardare per la mia professione. Ma è diventato un momento che preferisco, quasi, non vivere. Io vivo con Internet, perché mi nutro di ciò che arriva dalla rete ed è diventato anche quello che è il nuovo mercato. Un problema, a cui si sta tentando di ovviare, è che ancora non tutti hanno la possibilità di accedere alla rete con facilità. Ciò che manca è una rete che permetta a tutti una connessione veloce, per usufruire dei contenuti…»
M.: «…e una vera alfabetizzazione nell’uso per smettere con la passività e prendere il coraggio.»
Giovanna Giacomin