In difesa del cinema spazzatura
Di certo non si tratta di un capolavoro del cinema italiano, sicuramente non è conosciuto nel mondo per le sue atmosfere oniriche felliniane, per gli attori presi dalla strada pasoliniani o le struggenti vicende di guerra alla Rossellini.
Non ci sono donne feline, non ci sono poveracci reali ne attrici brillanti come Anna Magnani o Ingrid Bergman, eppure sono molti di più gli italiani che conoscono ed hanno visto L’allenatore nel pallone rispetto a quelli che possono raccontarci la trama di La dolce vita, Accattone o Paisà. Come è possibile?
La risposta è molto semplice, le persone cambiano, i gusti cambiano e le esigenze del cinema-mercato sono sempre più imbastite nelle volontà degli spettatori più che nelle capacità artistiche del regista.
Oggi giorno forse meno, il gusto per il vintage, per le belle cose, per i dettagli, gli sfarzi e le foto in bianco e nero ci sta riportando alla venerazione dell’unico, l’irripetibile, del capolavoro. Negli anni’80 invece, accadeva tutt’altro, il cinema italiano, saturo di gemme preziose, vede sparire piano piano l’interesse del pubblico nei confronti degli struggenti film lunghi ore ed ore.
Gli uomini e le donne di quel periodo vogliono rilassarsi, vogliono ridere, vogliono essere coccolati in questo viaggio mentale ed emozionale che è lo spettacolo cinematografico. Sono stanchi di riflettere, e sono già tanto stressati nella vita quotidiana che di certo non hanno bisogno di altro che di spegnere il cervello una volta seduti nella poltroncina rossa del cinematografo. Quasi che l’azione di brucare pop corn come pecore debba essere l’atto più complesso da compiere in quell’ora e mezza di svago.
L’allenatore nel pallone nasce nel periodo in cui persino la commedia sexy all’Italiana stava percorrendo la strada del declino sostituita da una star più giovane, il Cine-panettone, ma non si può mica fare per questo un rimprovero a Sergio Martino (il regista).
Il cinema si sa, non è un mondo a parte, non è un isola a se stante priva di contatti con la terra ferma, anzi, il cinema è la capitale che più risente del cambiamento in atto nella società e che lo porta all’esasperazione talvolta come denuncia talvolta come venerazione.
di (Giulia Betti)