Dopo i successi in teatro, sul grande e piccolo schermo, Michele Placido raggiunge la piena affermazione artistica come regista, traduttore e interprete di una delle tragedie più intense di Shakespeare, Re Lear, al Piccolo teatro di Milano dal 24 febbraio al 8 marzo.
Quando la storia raggiunge un punto in cui non sembra esserci più rifugio all’aggressione di una violenza esterna, che ovunque si insinua e tutto occupa, l’unica via d’uscita per conquistare una pace più profonda è il richiamo alto all’interiorità e alla cura di sé. In scena è condannata e smascherata la vita, di ieri come di oggi. È precaria, incerta. Gli uomini come sommozzatori, come pesci popolano una società liquida incapace di tenere la rotta, retta da fantocci di carta, da potenti corrotti e corruttori. Le civiltà che si credono eterne spariscono, gli uomini, nudi e impauriti, lottano alla sopravvivenza, fallendo. In fuga dalle convenienze, dalle proprie responsabilità, dal timore di non essere all’altezza, Re Lear vuole scendere dal proprio trono prima del tempo e tornare ad essere uomo, o meglio, bambino arrivando a “gattonare fino alla morte”. Ha bisogno di dimostrazioni di affetto, vuole convincersi che non tutto è perduto, che l’amore può avere la meglio sulla sete di potere, l’angoscia della perdita, la sensazione di impotenza. Un “ti voglio bene “sarebbe stato sufficiente al Re Lear per illudersi che l’Amore è dimostrabile a parole. La franchezza, l’onestà frena una delle tre figlie, Cornelia, ben interpretata dalla moglie di Michele Placido, Federica Vincenti, la cui differenza d’età rende, effettivamente, consono il rapporto paterno filiale. La sua risposta “nulla mio signore”, la sua presa di posizione contro un Amore inesprimibile a parole scatena il dramma che condurrà Re Lear alla pazzia, allo sgomento di fronte al crollo di tutte le certezze. “L’emozione dell’essere” è il vero Re della scena, si prende gioco dei personaggi imponendo l’andatura e il passo delle azioni. “A noi spetta accettare il peso di questo tempo triste, dobbiamo dire quello che sentiamo e non quello che conviene” sarà questo il monito finale del francescano Edgar, l’unico sopravvissuto perché è stato in grado di abbandonare gli averi paterni risalendo maceria per maceria dal vuoto lasciato dal potere effimero.
di Giovanna Riccomi