In scena al Franco Parenti dal 27 Gennaio; Filippo Timi con Casa di Bambola, regia di Andrée Ruth Shammah ci spiega chi è “quest’uomo che le donne con il loro femminismo hanno abbandonato”. Una rilettura libera del dramma norvegese che lascia spazio all’autenticità di uomini (e donne) fragili.
Cosa si intende con “crisi del maschio”?
F. Timi: “Ciò che è stato fatto in questo lavoro è una rilettura di Casa di Bambola che non ha paura di pensare al maschio: è infatti Nora nella lettura femminista ad intrappolarsi nel suo ruolo, è lei che fa “una casa di bambola” e costringe tutti a vivere lì, compreso ovviamente suo marito. Al di là dei ruoli, del genere, quello che ci interessa è pensare al messaggio: che l’unione, il matrimonio sia vero, sia sereno”.
Chi è quindi Nora in questa nuova lettura di Casa di bambola?
F. Timi: “Nora è sempre Nora. Non abbiamo sentito il bisogno di aggiungere niente al testo. La nostra è stata un’interpretazione libera, sincera e intelligente. Nora è una donna che abbandona l’uomo che ama, non una donna che abbandona l’uomo che l’ha costretta ad una vita che non le appartiene. E come sostiene la sua bravissima interprete Marina Rocco, questo alla fine “è più interessante”.
Com’è stato tornare al Parenti e quali sono le aspettative per lo spettacolo?
F. Timi: “Beh, mi viene in mente una frase di Stanislavskij che ho dentro da moltissimi anni: “un attore per entrare in scena, deve essere innamorato”. Questo significa che ho dentro un amore incondizionato quando salgo sul palco e per adesso non sono spaventato, perché io ho Andrée quindi…succeda quel che succeda! Io in tutti i ruoli che ho fatto, ero sempre io. E anche in questo caso, non penso a differenziare la triade maschile che interpreto, non mi preoccupo, ma provo solo a raccontare”.
Anche per Casa di Bambola vi siete avvalsi della collaborazione di Fabio Zambernardi. Qualche anticipazione sui costumi e sugli ambienti?
F. Timi: “I costumi sono semplici, ma di gran classe. Siamo stati tutti coinvolti in questo spirito di semplicità. Per la scenografia invece prevale il tulle. Ci sono delle pareti, che sono quattro porte. E’ una casa forte, chiusa. Dentro le mura si compongono e si scompongono come carte da gioco. Ci siamo anche ispirati a Munch per alcune immagini”.
Gli spettacoli di Timi sono da sempre un esempio mirabile di come l’arte possa divenire uno strumento prezioso, l’unico forse capace di veicolare e generare la verità universale delle emozioni, dell’amore. Alla fine dei suoi spettacoli, la sala è pervasa di un sentimento reale di commozione e di gratitudine verso tutto il lavoro compiuto e la restituzione non può che essere, la nostra aperta partecipazione.
di Michela Fiorentino Capoferri e Giulia Hansstein