È uscito “Born To Die” il tanto atteso album della cantante americana Lana Del Rey. Figlia di un noto milionario newyorkese, Lana, all’anagrafe Elizabeth Grant, 25 anni è già considerata la “rivelazione dell’anno”. Sarà il suo stile anni ’40, sarà la sua drammaticità o la sua bellezza? La risposta è più semplice, l’hype. La sua label, l’Interscope Rocords, ha costruito un hype fuori dal comune, ovvero ha promosso massively la cantante come fenomeno musicale mentre è solo un fenomeno di marketing. Lo sospettavamo tutti della costruzione del personaggio ma infondo non volevamo crederci, il modus operandi delle labels ormai è conosciuto e spesso anche meritato (Lady Gaga, Jessie J e Adele giusto per citare qualcuno) ma in questo caso abbiamo qualche dubbio. Dal punto di vista musicale l’album, “Born To Die” è piuttosto prollisso, la cantante sfoggia una ridondante melodrammaticità e impostazione che l’accomuna ad altri artisti (Hurts in primis) ma che la distanzia anni luce per il modo in cui ne abusa. Recentemente ha presentato l’album al “Saturday Night Live” la cui catastrosa esibizione ha minato il debutto (per così dire) della cantante rinforzando l’idea delle sue scarse doti già supportate da decine di altri video su Youtube in cui la cantante si esibisce. Born to die il cui titolo non è mai stato azzeccato ha comunque raccolto opinioni positive fra cui quella del celebre Damon Albarn, a suo tempo leader dei Blur, che in qualche modo ci invogliano a pensare che non sia tutto un bluff, senza risultati.
Giulia Rozza