Rieccoci qui, nel mese della zucca, per parlare di quella magnifica invenzione che è il teatro, e di quelle che sono le dinamiche mentali legate ad esso. Il teatro nasce in forma classica nell’antica Grecia, in stile drammatico, per poi tramandarsi in Europa, dall’inizio degli anni Cinquanta, subendo alcune trasformazioni; si basa principalmente su due elementi fondamentali: l’attore e lo spettatore, e sulla “relazione” teatrale che li lega.
Parlando di relazione, stiamo parlando quindi di psicologia umana, di ciò che ci accomuna gli uni agli altri. Mediante l’espressione e la narrazione di un fatto umano (che sia realmente accaduto piuttosto che inventato) da parte dell’attore o di diversi attori, lo spettatore diviene parte attiva dell’avvenimento in gioco, condizionando l’andamento e l’espressività.
Nell’arco della vita infatti, non sempre ci si sente a proprio agio nei propri panni, ed ecco allora l’esigenza di sognare e di identificarsi con un personaggio, o meglio con l’idea di chi vorremmo essere in quel preciso momento della nostra esistenza. Ciò che permette ad attore e spettatore di interagire in modo profondo è quindi l’espressione e la comunicazione delle emozioni che emergono nel momento stesso in cui viene messo in scena uno stralcio di esistenza umana.
Si crea così un complesso gioco di ruoli, dove allo spettatore viene consentito di lasciarsi andare ed immedesimarsi all’interno della scena che sta osservando in quell’istante. Durante la narrazione della storia, lo spettatore può trasformarsi virtualmente, assumendo su di sé le caratteristiche psicologiche del personaggio che sta osservando, in un ambiente protetto e senza dover correre i rischi che invece sarebbero presenti se dovesse agire concretamente in un ambiente fisico reale.
Questo processo catartico consente a chi osserva di svagare la mente e sentirsi in qualche modo la persona che vorrebbe essere nella vita reale, provando gratificazione e senso di libertà. L’attore invece, in quanto tale, ha la responsabilità di trasmettere un messaggio significativo ed influente sulle persone che lo stanno ascoltando e osservando, attraverso il proprio ruolo di “erogatore di emozioni e pensieri”.
Ciò implica l’uso di etica ed appropriatezza dei temi trattati, oltre che di grande empatia nei confronti delle persone che si stanno affidando alla sua personale (ed unica) interpretazione dei fatti. Il tono della voce, il movimento del corpo nello spazio e l’espressione di emozioni condizionano il mondo interno dello spettatore, a volte persino superando quelli che sono i confini mentali tra spettatore e attore stesso, facendo sì che vi sia una totale e completa identificazione nel personaggio che si sta osservando.
di Sabrina Burgoni