Ben otto appuntamenti, dall’8 febbraio al 4 marzo, sono stati pensati per Simon Boccanegra di Giuseppe Verdi alla Scala di Milano, sotto la direzione del Maestro Myung-Whun Chung. Rappresentante autorevole per la cultura italiana nel mondo, il Maestro ne ha fatto un manifesto culturale fino al Teatro Bol’šoj di Mosca e, in forma di concerto, a Seoul e Shanghai. Interpreti nel dramma sono Leo Nucci nel ruolo di Simone, Krassimira Stoyanova per Amelia, Fabio Sartori per Adorno e Dmitry Beloselskiy per Fiesco.
Lo spettacolo Simon Boccanegra è inserito nel ciclo di incontri “Note di Storia”, frutto della collaborazione fra Teatro alla Scala e Fondazione Feltrinelli. L’opera è radicalmente innovativa nell’impianto drammaturgico (i fatti nel Prologo, ad esempio, anticipano di 25 anni l’azione dell’Atto I), non proprio lineare nel disegno narrativo abbozzato da Verdi, e neppure nella partitura orchestrale piuttosto cupa. Come sottolinea Julian Budden, l’opera comincia “con un procedimento inaudito al di fuori del teatro di prosa: due persone entrano conversando come fossero Jago e Roderigo nell’Otello di Shakespeare”.
A prescindere dal valore artistico, l’opera verdiana con difficoltà avrebbe accolto consensi nel corso dell’Ottocento, non incentrata né su una grande storia d’amore, né su un dramma di popoli in lotta per la libertà. Tema è piuttosto la crisi di un sistema di potere e di affetti familiari, di cui Verdi fa un’amara riflessione della storia d’Italia. La scrittura del testo fu ripresa in due versioni ben ventiquattro anni più tardi, dal 1857 al 1881, quasi a dimostrare la necessità di uno sguardo retrospettivo, come quello che domina l’atto conclusivo dell’opera e che lo rende così umanamente struggente.
di Denise Rotondi