In un mondo dove il concetto di aperitivo è in continua espansione e rivoluzione, dove le mode si affastellano e cambiano con la velocità con cui un barman taglia una fettina di lime, c’è un nome che è rimasto sinonimo di bevute in compagnia oggi come più di un secolo e mezzo fa: Campari.
Non c’è ombra di dubbio che il successo prolungato di Campari sia dovuto alla qualità e alla riconoscibilità dei suoi prodotti. Basti pensare al Negroni, il cocktail a base di gin, vermouth rosso e bitter Campari che, assieme al rivale e compagno di sempre, lo Spritz, è diventato sinonimo interscambiabile del termine aperitivo.
Ma non è stato – e non è – solo il gusto a rendere tanto largamente popolare il marchio Campari. La sfumatura rossa quasi inimitabile di queste bevande si è infatti da sempre prestata ad un mondo tanto ricco di suggestioni quanto foriero di miti intramontabili: quello della pubblicità. Il tutto a partire dalla location originale nella quale prese vita l’idea dell’aperitivo Campari: il Caffè Campari in Galleria Vittorio Emanuele, vera e propria vetrina sulla Milano che conta oggi come nel 1860.
Sotto la grande spinta del passaparola originato intorno all’aperitivo creato da Gaspare Campari, la cui ricetta rimane ancora oggi segreta, venne alla luce il primo annuncio pubblicitario ufficiale, pubblicato nientemeno che sul Corriere della Sera. Correva l’anno 1889, e da quel momento Campari iniziò a calamitare la fantasia dei grafici e degli artisti più illustri, affascinati dalla possibilità di veicolare per immagini un prodotto dalle capacità aggregative tanto potenti e che, allo stesso tempo, rimaneva sinonimo di momenti di vita leggeri.
Fu Marcello Dudovich a dar vita al concetto di red passion ancora oggi legato al Campari e che vede l’aperitivo protagonista di mirabolanti attimi di passione e seduzione. Il pittore e cartellonista triestino siglò infatti, nel 1920, il manifesto che affiancava il Bitter Campari a due amanti intenti in un bacio appassionato, immersi in un’atmosfera dalle tinte fortemente liberty.
Dalla Belle Epoque di Dudovich al Futurismo di Fortunato Depero, dai viaggi nello spazio di Nino Nanni – che disegnò una bottiglia di Campari in orbita intorno alla Terra negli anni dello Sputnik – ai fumetti di Guido Crepax e alla Pop art di Bruno Munari, che nel 1964 si ispirò alla logomania americana per la sua Declinazione grafica del nome Campari, oggi esposta come vera e propria opera d’arte al MoMa di New York.
Gli anni ’70 diedero un volto ad un aperitivo già lanciatissimo. Campari chiamò come suoi testimonial star nostrane e internazionali quali Humphrey Bogart e Nino Manfredi, icone di uno stile sornione e auto ironico quanto basta. Nel 1984 fu addirittura Federico Fellini a girare uno spot per Campari, un viaggio surreale che, oltre a lanciare una frecciatina contro l’abitudine poco sana dello zapping selvaggio, fu precursore dei cortometraggi d’autore che ai giorni nostri accompagnano le nuove stagioni dei prodotti Campari.
Sì, perché le campagne mediatiche di Campari dell’ultimo decennio non hanno avuto niente da invidiare alle grandi produzioni cinematografiche. Dalla fine degli anni ’90 ad oggi lo storytelling di Campari si è fatto thriller noir, commedia, racconto in costume.
Nel 2000 è Salma Hayek a rompere – letteralmente – il ghiaccio nel primo spot globale girato da Matthew Rolston in un immaginario Hotel Campari. Lo stesso luogo che non pone freni all’immaginazione ospita anche Eva Mendes e Jessica Alba, le quali, insieme alla Hayek, vengono ritratte da Mario Testino nel Calendario Campari. Negli anni a seguire è la volta di Olga Kurylenko di posare davanti all’obiettivo di Simone Nervi, seguita da Penelope Cruz, Uma Thurman, Eva Green e Kate Hudson.
Nel 2017, un’ulteriore evoluzione nel mondo pubblicitario Campari, uno slancio ancora più potente verso l’iconografia dei divi: nascono i cortometraggi Red Diaries, mini film che sprigionano la potenza visiva dei blockbuster hollywoodiani. Paolo Sorrentino dirige il corto Killer in Red con protagonista Clive Owen e le atmosfere sono quelle de La grande bellezza rivisitate in chiave pulp. È un successo di critica, tanto che Campari replica ad inizio 2018 con un altro corto di ispirazione spy story. Ancora una volta a dirigere è un regista sulla bocca di tutti in terra italica e estera: è infatti lo Stefano Sollima di Gomorra a confezionare The Legend of Red Hand, l’avventura nella quale Zoe Saldana e Adriano Giannini girano il mondo alla ricerca dei Red Hand, gli autori dei migliori cocktail del pianeta.
Non è difficile immaginare che nel futuro di Campari ci saranno altre produzioni sempre più mastodontiche e improntata a catturare lo sguardo di una società incentrata sulla condivisione e sull’immagine. E pensare che era partito tutto da un aperitivo al bar.
di Martina Faralli