Dal composto greco νόστος (“ritorno”) e άλγος (“dolore”), la nostalgia abita nella mente di una giovane ragazza danese che ritorna nell’isola delle Fær Øer, da cui negli anni Trenta emigrarono i nonni.
Il romanzo “Isola”, edito da Iperborea, è una saga familiare che custodisce l’archetipo eterno della Heimweh e il dramma moderno delle migrazioni. Nella sua Odissea, la protagonista intraprende un viaggio verso la mitologica Suðuroy, seguendo un percorso di ricongiungimento con una realtà modellata dai racconti del nonno Fritz, pescatore dell’Artico, e nonna Marita, irrequieta sognatrice.
Da una narrazione ciclica dai toni semplici, influenzata dalla mitologia classica e dalle tradizioni folkloristiche faroesi, i personaggi di questo arcipelago tra Islanda e Norvegia, come isole, emergono e affondano.
“Alcune isole sono solo di passaggio. […] Altre avevano una loro rotta, erano come uccelli migratori e ricomparivano sempre nello stesso luogo”.
Queste isole sono identità complesse, che affrontano il secolo delle grandi tragedie storiche con coraggio, dolore e rassegnazione. Fra tutte, i nonni, che seppur in maniera diversa, vivono in balia della nostalgia, che non è più solo il desiderio di ritorno alle Fær Øer, ma un rifugio psicologico in cui si cullano negli anni.
“[…] viveva nel futuro, finché non ha cominciato a vivere nel passato. In questo senso era un vero migrante”.
La persistenza del passato vissuto nella mente viene tramandato di generazione in generazione, finché la stessa protagonista non finisce per sentirsi estranea alla società danese alla quale appartiene. Le storie di “Isola” sono piccoli tesori, in parte autobiografici, della scrittrice danese Siri Ranva Hjelm Jacobsen, che si è conquistata l’occhio di riguardo della stampa internazionale con un romanzo sugli effetti della migrazione, canto d’amore alle Fær Øer e al valore dei ricordi.
di Ginevra Bonina