Il vintage e il riuso sono scelte eticamente corrette. Il rispetto per l’ambiente. Un tentativo di “democratizzazione” della moda. Una scelta rivoluzionaria se letta nel contemporaneo. Un contemporaneo dominato dall’incombenza delle multinazionali e dall’imposizione del fast fashion. Le stesse multinazionali che, tramite il bombardamento mediatico e la manipolazione che ne consegue, dettano i ritmi serrati della moda. Un comprare e gettare, un ciclo senza tregua che non lascia spazio al minimo pensiero.
È in questo contesto, di fronte a un orizzonte tanto grigio quanto catastrofico, che le piattaforme di reselling di vintage e dell’usato diventano un’iniziativa intelligente. Un pensiero costruttivo capace di dare una nuova luce al nostro futuro. Un pensiero che parla di qualità e di rispetto, per le persone al pari delle cose.
Un business in forte crescita
La vendita di abiti vintage o usati è un’attività in forte crescita in questo momento storico. Prodotto della sensibilità delle nuove generazioni di consumatori e della pandemia, il reselling si fa spazio tra le maison del lusso e il fast-fashion. In effetti, i dati dimostrano che l’attività di reselling è cresciuta 24 volte più velocemente della vendita al dettaglio tra il 2017 e il 2018. Inoltre, è molto probabile che il mercato di rivendita complessivo raggiunga $51 miliardi entro il 2023. Un’attività in forte crescita e un’iniziativa intelligente a livello ambientale ma anche a livello etico.
Il vintage e l’alta moda
Le piattaforme di reselling di vintage o dell’usato rappresentano attualmente una tendenza in forte crescita nel business della moda. Depop, Vinted, Vestiaire Collective, Nona Source, per citarne alcune. Non solo piccoli rivenditori ma ora anche brand di lusso e gruppi come LVMH hanno iniziato questo tipo di attività.
La multinazionale francese, infatti, ha istituito la start-up Nona Source, una piattaforma resale che ripropone scarti di magazzino basata sui principi dell’economia circolare. Scarti di magazzino di tessuto e di pelle, materiali inutilizzati, disponibili ora a chiunque, stilisti e aziende, anche competitor. Un’opportunità per i creativi di accedere a materiali di alta qualità attingendo ai campionari di prestigiose maison del mondo. Al contempo costituisce un prezioso ciclo di riutilizzo delle risorse.
Non solo LVMH, anche brand come Tommy Hilfiger e Levi’s hanno lanciato programmi di riacquisto dei loro vecchi capi. A questi si aggiunge anche Cos, che ha creato una piattaforma per la rivendita di capi tra consumatori. E ancora, Burberry ha stretto una partnership con il sito di vendita online RealReal, dove il brand inglese vende i suoi capi più iconici e vintage a favore della circular economy.
di Isotta Canapieri