Non basta un film per raccontare la sua carriera
È dal 2 marzo, ovvero da quando è uscito il trailer, che aspetto di vedere “Il Divin Codino”. Attendo così la data di uscita, il 26 maggio, ed eccolo lì, finalmente, nella home di Netflix. Per l’occasione decido di farmi assistere nella visione dall’esperto calcistico di casa – io sono solo un’appassionata discreta. Tutto pronto; premo il tasto play.
Seppur durante il film il mio compagno di divano continui a spiegarmi – senza, tra l’altro, averglielo chiesto – scene e personaggi, soffermandosi su aneddoti e opinioni, conclusi quei poco più di 90 minuti – il tempo di una regolare partita di calcio – i commenti faticano ad arrivare.
“Bello, ma”, “Lui bravissimo, però”. Accanto a me, c’era una persona che le parole le usa per lavoro, ma che in quel momento non sapeva come esprimersi. Lo aiuto io. Avevo letto che molti si lamentavano del fatto che ci fossero dei salti temporali importanti. “Ecco – mi dice – manca la Juventus, per esempio”. E so che non lo dice solo perché di tifoseria bianconera. “Hanno fatto una serie per raccontare due anni di Totti. Per raccontare Baggio un film non basta”.
È questo il punto. Il film è interessante e fatto bene. Tratta delle tematiche serie, come l’incontro del calciatore con la fede buddhista (che l’ha aiutato a risolvere la propria crisi) e il difficile rapporto con il padre. Si avverte, però, la mancanza di eventi molto importanti. La Juventus, come abbiamo detto, ne è un esempio. Perché il passaggio dalla Fiorentina alla squadra bianconera è stato sicuramente sofferto da Baggio, e quel rigore che si è rifiutato di tirare è un fatto ancora ben impresso nei tifosi di ambo le squadre e non solo.
Roberto Baggio: la famiglia, la fede, i Mondiali del ‘94
E se un po’ la scelta di non parlare di alcuni anni della sua carriera sembra essere il punto dolente della pellicola diretta da Letizia Lamartire, il racconto che ci viene fatto del personaggio Baggio è il lato positivo di tutta la vicenda.
Roberto (interpretato da Andrea Arcangeli) è il sesto degli otto figli di Florindo Baggio (Andrea Pennacchi); con il padre il rapporto è conflittuale, costellato di consigli elargiti, però, con estrema severità. Florindo sembra non credere nelle capacità del figlio, che tenta per buona parte della sua carriera di ottenere l’approvazione paterna.
Interessante, poi, la fede buddhista, a cui si avvicina un po’ per caso, ma che gli dona la forza per rialzarsi e superare una profonda crisi, nata dopo un infortunio patito subito dopo la firma con la Fiorentina. Anche la moglie Andreina (Valentina Bellè), in seguito, si accosta a tale credo. E poi c’è quella croce: i Mondiali del 1994 negli Stati Uniti e quel rigore sbagliato nella finale contro il Brasile. Che mai ha dimenticato.
Eppure gli italiani, di certo amareggiati da quella sconfitta, lo amano ancora. Perché Baggio, come calciatore, è stato un fantasista, uno che litigava con Sacchi perché limitato dagli schemi troppo rigidi dell’allenatore. Un uomo pacato, leader in campo, non sempre compreso dagli allenatori, ma adorato dai tifosi. Ancora lui, che sarà per sempre ricordato come il Divin Codino.
di Maria Giulia Gatti