Jane Campion torna a Venezia, questa volta con un genere nuovo, il western
Jane Campion non è nuova a Venezia. Vince il Leone d’argento nel 1990 per Un angelo alla mia tavola, poi per anni presenta i suoi film a Cannes. Escluso Ritratto di signora, per il quale vince il Premio Pasinetti proprio alla Mostra del Cinema nell’edizione del 1996. Nel 1993 viene premiata con la Palma d’Oro per Lezioni di piano, mentre nel 2009 porta nella kermesse francese Bright Star, film dedicato a John Keats. La regista neozelandese ci conduce in questa edizione del Festival di Venezia in un ambiente nuovo, western. Un genere che la Campion non aveva mai trattato prima, ma che sembra da subito conoscere bene.
La trama
Siamo nei primi anni del Novecento, in un’America desolata e ancora divisa tra cowboy e indiani. I protagonisti sono i due fratelli Phil e George Burbank, interpretati rispettivamente da Benedict Cumberbatch e Jesse Plemons. George si innamora della vedova Rose, Kirsten Dunst, accogliendo lei e il figlio nel ranch di famiglia. Da subito i rapporti si fanno difficili a causa del carattere burbero e crudele di Phil. La Campion divide il film in capitoli, man mano che le sequenze volgono alla conclusione riconosciamo sempre di più in Phil un uomo solitario segnato dal dolore di una perdita. Sarà proprio il figlio di Rose, benché il rapporto all’inizio fosse tra loro complicato, a dargli nuova speranza.
Perché andare a vederlo
Il film è condotto magistralmente dalla regista, capace di trasportarci in alternanza in luoghi di estrema intimità e in luoghi invece aperti, che sconvolgono per la natura selvaggia a volte addirittura misteriosa. Purtroppo però il film non riesce ad emozionare fino in fondo, rimanendo sempre distaccato dai suoi protagonisti, nonostante la drammaticità delle loro storie. Nota positiva è sicuramente l’interpretazione di Benedict Cumberbatch. L’attore inglese non ha avuto paura di mostrarsi fragile, vulnerabile e di regalarci così un personaggio intenso. Può decisamente ambire alla Coppa Volpi per la miglior interpretazione.
di Ludovica Ungari