Gianni Amelio si presenta a Venezia portando la storia del caso Braibanti. Aldo Braibanti è stato un antifascista, filosofo, drammaturgo, poeta, nonché appassionato mirmecofilo, che durante gli anni ‘60 si ritrovò al centro di un processo, che divenne ben presto un caso politico e specchio di un Paese.
La causa del processo fu il rapporto di Aldo con il suo amico 23enne Giovanni. Il padre di questi, di ideologia conservatrice e fascista, non riusciva ad accettare il rapporto tra i due, e lo denunciò di aver fatto il lavaggio al cervello a Giovanni per sottometterlo a sé. Ad essere, però, davvero di mira era la relazione sentimentale tra i due, soprattutto perché omosessuale. Non solo, il giovane verrà sottoposto a cure in un manicomio con elettroshock, facendo riflettere parecchio sul significato di “sottomissione” e “malessere” per la società dell’epoca.
Fu la prima volta, nel Dopoguerra, che venne dato atto a una legge introdotta durante il fascismo, il “reato di plagio”, inteso come assoggettare qualcuno psicologicamente. A favore di Braibanti si schierarono molti intellettuali, tra cui Moravia, Pasolini, Eco, nonché politico come Pannella dei “Radicali”…
Alcuni anni dopo il reato venne abolito, ma Braibanti passò un processo lungo 4 anni, con una condanna che vide diminuirsi da nove anni a quattro, con due infine condonati in quanto partigiano della Resistenza.
Il film riesce a inserirsi nella vicenda con un atteggiamento obiettivo, mostrando molto bene lo spaccato sociale dell’epoca: a emergere non è solo l’ignoranza di una parte della popolazione, ma soprattutto la presunzione e l’arroganza. Lo stesso Aldo non viene mostrato come un santo, in una scena confida al giornalista (Elio Germano): “non voglio essere né mostro, né martire”. Sceglie inoltre di mostrare molto l’esteriorità della vicenda, facendoci calare nel clima.
Ogni tanto può risultare retorico e teatrale, e certi dialoghi troppo didascalici, così come sarebbe stato interessante vedere qualcosa in più riguardo alla relazione tra i due. Ciò nonostante Amelio riesce a trasmetterci molto bene il personaggio Braibanti (Lo Cascio), con tutta la sua fragilità e forza, ed è proprio quando sceglierà di utilizzare il silenzio e la spontaneità del gesto che il film troverà la propria potenza.
E, anzi, forse ci suggerisce quanto fosse necessario che gli stessi protagonisti non esplicitassero il loro amore, come a suggerire che il vero sentimento non è fatto per i “grandi eventi”. É piccolo e spontaneo.
Amava dirlo anche Nietzsche, citato non a caso da Braibanti in un dialogo col giovane sulla celebre metafora della metamorfosi cammello-leone-bambino.