Un successo che ha sorpreso persino la Silicon Valley, con ripercussioni evidenti sul mercato tecnologico: Nvidia ha registrato un crollo storico in borsa, perdendo quasi 600 miliardi di dollari in un solo giorno. Ma cosa rende DeepSeek così rivoluzionaria?
Il cuore del progetto è il modello R1, un’architettura open source che si pone come alternativa ai sistemi occidentali dominanti. Secondo la startup, DeepSeek ha raggiunto livelli di prestazione simili a quelli di OpenAI con un utilizzo significativamente inferiore di chip specializzati. Questo elemento ha acceso il dibattito sulle reali capacità delle aziende cinesi nel settore dell’AI, ridimensionando l’idea che l’Occidente abbia un vantaggio incolmabile.
DeepSeek offre tre modalità principali: un chatbot conversazionale, una funzione di ricerca web e la modalità DeepThink, che introduce capacità di ragionamento più avanzate. Gli utenti possono interagire con il sistema per ottenere risposte precise, esplorare contenuti online e ricevere spiegazioni dettagliate sui processi logici utilizzati dall’AI. Tuttavia, nonostante la sua impressionante fluidità nella lingua cinese e la capacità di generare contenuti articolati, il chatbot presenta limitazioni significative dovute alla censura imposta dal governo di Pechino. Come altre piattaforme digitali cinesi, DeepSeek evita di trattare argomenti ritenuti sensibili, reindirizzando gli utenti verso tematiche neutre come matematica e programmazione quando vengono sollevate questioni politiche o storiche. Ad esempio, evita sistematicamente argomenti come le proteste di Piazza Tiananmen del 1989, la persecuzione degli uiguri e le questioni relative ai diritti umani in Cina. In questi casi, l’AI rifiuta di rispondere o devia la conversazione con frasi come: “Mi dispiace, questo è al di fuori del mio ambito attuale. Parliamo di qualcos’altro”.
Inoltre, DeepSeek adotta una narrativa allineata con le posizioni ufficiali del governo cinese su questioni geopolitiche. Ad esempio, descrive Taiwan come “una parte inalienabile del territorio cinese” e si oppone fermamente a qualsiasi forma di attività separatista per l’indipendenza di Taiwan. Queste restrizioni sollevano preoccupazioni riguardo alla libertà di informazione e all’affidabilità dei contenuti generati dall’AI, soprattutto per gli utenti internazionali che cercano prospettive imparziali su argomenti delicati.
Nonostante questi vincoli, la rapidità di crescita e l’accessibilità gratuita del servizio lo rendono una minaccia concreta per concorrenti come OpenAI, il cui modello premium ha un costo mensile di 20 dollari. Inoltre, a differenza dei colossi occidentali, DeepSeek ha scelto di rendere pubblici alcuni aspetti cruciali della sua tecnologia, come i “pesi” dei modelli e le “catene di pensiero”, offrendo agli sviluppatori un livello di trasparenza inedito nel settore.
L’ascesa di DeepSeek segna un punto di svolta nel panorama dell’intelligenza artificiale globale, ponendo la Cina in una posizione sempre più competitiva. Il suo successo dimostra che la sfida tra Oriente e Occidente nell’AI è appena iniziata e che il dominio tecnologico non è più un’esclusiva delle aziende americane. La domanda ora è: riuscirà DeepSeek a mantenere il suo slancio o le restrizioni cinesi limiteranno il suo impatto internazionale?