La generazione Z segue quella dei millennials. Vi rientrano i nati tra la seconda metà degli anni ‘90 e la fine degli anni 2000. L’utilizzo massiccio della tecnologia, e in particolare dei social media, è uno degli aspetti più rilevanti in assoluto in questa fascia di popolazione, si parla comunemente di nativi digitali. Infatti, proprio la tecnologia e la digitalizzazione giocano un ruolo cruciale nei processi di socializzazione dei più giovani, a tutti i livelli: da quelli più informali, come le relazioni sociali, ai rapporti lavorativi.
La Gen Z è caratterizzata da una riscoperta dei valori, dalla voglia di lottare per i diritti e per l’uguaglianza. I giovani sono inoltre molto più aperti e flessibili dei loro predecessori, con una visione ampia e libera da categorie ormai superate. È una generazione a conoscenza del “potere” che possiede nel poter cambiare il mondo. Spera in un futuro diverso, inizia a considerare il fallimento non come un errore imperdonabile, ma come una tappa fondamentale del percorso professionale.
Troppo spesso ai ragazzi viene chiesto di fare delle scelte per il loro futuro, senza che gli venga concesso lo spazio e il tempo necessari per riflettere tra sé e sé, o ragionare con i coetanei e con gli adulti per riuscire a scegliere la strada giusta. Secondo McKinsey & Company, le persone che appartengono alla Gen Z “si mobilitano per diverse tipologie di cause. Loro credono profondamente nell’efficacia del dialogo per risolvere conflitti e migliorare il mondo”.
La Gen Z a causa della pandemia ha affrontato grandi sfide per quanto riguarda il proprio percorso di studio: alcuni esami sono stati cancellati, molte delle tradizionali modalità di apprendimento universitario sono state trasferite online e i programmi di laurea sono cambiati. Gli studenti hanno visto interi anni annullati, e sebbene tutte le generazioni abbiano sofferto per le conseguenze economiche causate dalla pandemia, è evidente che la Gen Z sia stata la più colpita con la perdita di posti di lavoro e con il più alto tasso di disoccupazione.
La pandemia, inoltre, ha cambiato e continuerà a cambiare il mondo del lavoro, le persone non sono più disposte a sacrificare la loro felicità e il loro tempo per un lavoro che non li appaga. Da uno studio condotto da Randstad a livello globale, emerge che il 75% dei giovani dichiara che il lavoro è una parte importante della loro vita, ma il 40% di essi preferirebbe essere disoccupato piuttosto che svolgere un lavoro che non gli piace. In generale, il 43% delle persone coinvolte ha dichiarato che non accetterebbe di lavorare per qualcuno che non condivide gli stessi valori sociali e ambientali, mentre il 41% rifiuterebbe l’impiego anche nel caso in cui non vengano fatti sforzi per creare un ambiente lavorativo che privilegi la diversità e l’inclusività.
La Gen Z andrà, inevitabilmente, a costituire una fetta importante della forza lavoro dei prossimi anni, costringendo le aziende a rivedere tutte le proprie strategie di recruiting, si augura di trovare sul posto di lavoro una flessibilità a livello sia culturale sia organizzativa, e che oltre a rispettare tutte le differenze permetta ai dipendenti di lavorare da remoto e in fasce orarie variabili.
C’è, inoltre, da sfatare il mito che i giovani non vogliano lavorare. I giovani hanno molta voglia di lavorare, ma esigono, com’è giusto che sia, dei salari che gli permettano di vivere in modo dignitoso. Tutto ciò che ci siamo ritrovati a vivere negli ultimi anni ha stravolto le nostre abitudini, le nostre priorità sono cambiate e la rincorsa alla felicità è una delle mete più importanti da raggiungere.
È proprio per questo che alla maggior parte dei ragazzi della Gen Z a cui viene chiesto: “cosa vuoi fare da grande?” Risponde: “voglio essere felice!”