Un linguaggio che spesso viene strumentalizzato
Le narrazioni di crimini e di femminicidi, quando vengono fatte dal carnefice, spesso e volentieri risultano fuorvianti e il rischio è quello di arrivare quasi a empatizzare con lui, mettendo in un piano secondario la vittima stessa e i suoi affetti. Spesso le versioni risultano romanticizzate, ingrandite; per questo, diventa fondamentale rifarsi al codice comportamentale, che spiega come trattare i femminicidi, come parlarne: il Manifesto di Venezia, un documento che porta rispetto alla deontologia dei termini utilizzati e dice no ai termini fuorvianti, esagerati.
In tutto ciò, i mezzi di comunicazione di massa spesso non aiutano e sposano narrazioni morbose. Qui l’obiettivo diventa il profitto e non più l’informazione, quando così non dovrebbe essere. Tanti notiziari cercano spiegazioni che riescano ad alterare in qualche modo la figura dell’assassino, raffigurandolo quale soggetto esterno alla comunità e non in grado di agire razionalmente. Il lettore, automaticamente, tramite questa lettura, pensa: “lui non è come me”, fermandosi a questa considerazione senza pensare che quello stesso assassino potrebbe essere un soggetto come lui.
Le spiegazioni razionali sono accolte più benevolmente e facilmente rispetto alle riflessioni su quello che può essere invece un problema strutturale, come ad esempio la visione della donna patriarcale quale oggetto di possesso. I mezzi di comunicazione devono essere oggettivi, strumenti democratici ad hoc ed etici.
Come essere più chiari e attenti a tutto ciò
La formazione del singolo, l’istruzione, la cultura possono mettere fine a queste morbosità e queste finte realtà narrate; diventa quindi fondamentale essere soggetti attivi e razionali che non immagazzinano le informazioni così come sono senza riflettere; piuttosto, sarebbe corretto aprire la mente e rifletterci su. E al giorno d’oggi non mancano sicuramente gli strumenti che aiutano nella comprensione e nella consapevolezza di alcune narrazioni.