Un grande sipario rosso, una passerella bianca a ferro di cavallo, quattro nomi e quattro atti per ogni decade del brand che ha fatto dell’irriverenza e del Dadaismo la sua firma. Un salto nel passato raccontato da Carlyne Cerf de Dudzeele, stylist braccio destro di Jeremy Scott, Gabriella Karefa-Johnson, global contributing fashion editor at large di Vogue, Katie Grand, fondatrice di LOVE e Perfect Magazine, e Lucia Liu, fashion stylist e creative director fondatrice della piattaforma creativa theBallroom, nell’attesa di sapere chi riscriverà la storia del brand.
Atto primo e Atto secondo
Tanta ironia ma anche tanta serietà quando si trattava di sartorialità è quello che ha accentuato Carlyne Cerf de Dudzeele con i suoi 10 look che hanno dato il via allo show. Capi essenziali di un guardaroba donna, come un tailleur con giacca a doppiopetto bianco, un trench beige, un blazer nero, pantaloni di diversi fit ma sempre in toni neutri, impreziositi da collane composte da grossi swarovski applicati anche sui maxi berretti neri indossati da tutte le modelle. Less is more.
Un’interpretazione più audace e sensuale quella successiva, firmata da Gabriella Karefa-Johnson ed il suo casting Black Power che ha ricordato le passerelle di Franco degli anni Novanta, per l’utilizzo dei colori, le gonne svolazzanti, i tailleur simili Chanel decomposti e un tocco anni Settanta suggerito dalle gonne effetto centrino della nonna, con il patchwork di quadrati in crochet.
Atto terzo e Atto quarto
Al terzo atto la donna in carriera e seducente cede il passo alla femminilità frivola ma pungente della lettura di Moschino da parte di Lucia Liu, che con i toni soft del rosa e del grigio richiama quello stile Maria Antonietta visto sotto la firma di Jeremy Scott. Corsetti, rouches, spalline, guanti e un tripudio di fiocchi che trionfano in quello che sembrava il perfetto finale d’effetto, con la citazione moschiniana: “Il buon gusto non esiste”.
Il gran finale dell’inglese Katie Grand ha messo i puntini sulle i e i punti esclamativi e interrogativi addosso a un corpo di ballo che si è scatenato a ritmo techno definendosi attraverso le sue t-shirt i paladini di un lusso rumoroso. Le coreografie erano di Wayne McGregor, Resident Choreographer al Royal Ballet e direttore della Biennale Danza di Venezia. A riportare la pace e chiudere il sipario Laura Marzadori, primo violino del Teatro alla Scala che interpreta I’m What I’m di Gloria Gaynor e l’uscita delle modelle in jeans e t-shirt bianca con su scritto Borrow Me-Wear Me-Hug Me in supporto di Elton John AIDS Foundation.
Uno spettacolo di libertà di espressione, un po’ caotico che Franco Moschino avrebbe gradito.