Bally AI 25-26: il senso della performance

Bally propone un’eleganza che rifiuta l’idea di performance come dovere e abbraccia l’espressione pura

a cura della Redazione

Se c’è una cosa che Milano sa fare bene, è mescolare tradizione e avanguardia. E Simone Bellotti lo sa. Per la sfilata autunno/inverno 2025-2026 di Bally, il designer ha scelto un’icona della città, la Torre Velasca, per mettere in scena una collezione che più che una risposta sembra una domanda: è ora di smettere di misurare tutto?

Addio KPI, addio ossessione per la produttività: Bally propone un’eleganza che rifiuta l’idea di performance come dovere e abbraccia l’espressione pura. Una ribellione? Forse. Un sogno? Sicuramente. Tra shearling color pastello, pelle strutturata e paillettes che sbucano come segreti ben custoditi, la collezione abbraccia il contrasto tra rigore e libertà, tra grigio metropolitano e verde speranza. Le silhouette si fanno più fluide, i volumi più imprevedibili, come se ogni capo fosse un’interpretazione personale, un’opera d’arte da indossare senza paura di sbagliare.

E a proposito di arte: la collezione prende ispirazione dall’eclettismo di Luciano Castelli, artista che ha fatto del caos una poetica, mescolando pittura, fotografia e performance. Un riferimento che si traduce in un guardaroba che rifiuta il concetto di uniforme, strizza l’occhio agli anni ‘70 e ai look genderless, senza mai perdere di vista la raffinatezza sartoriale che Bally porta nel suo DNA.

Diciamolo: questa non è solo una sfilata, è una dichiarazione d’intenti. Un invito a lasciar andare, a vestire il proprio istinto e a smettere di contare successi e fallimenti. E se la Torre Velasca, con la sua estetica brutalista e il suo passato post-bellico, è stata per anni un simbolo controverso, oggi è lo sfondo perfetto per una moda che non ha paura di farsi domande.

La vera performance, dopotutto, non è quella che si misura. È quella che si vive.

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