La sfilata si apre con un sottofondo di consigli di mindfullness nel palazzo sfarzoso di Avenue George V. Il sottotesto è il lusso di cui si permea il mondo della moda, specialmente durante la Haute Couture: irreale, patinato. La magia di Demna è riuscire a esaminare e smuovere un sistema facendone parte, vagliare le coscienze senza essere un giornalista che vive questa realtà da fuori bensì come fautore dall’interno.
La critica
Chi sta rimproverando il designer per non aver usato materiali pregiatissimi, non aver elogiato il fondatore del marchio oppure di non aver visto la classica passamaneria, di questa collezione ben poco ha compreso. Se vogliamo fare una lettura superficiale, non è Haute Couture; se invece vogliamo ragionare sul suo essere sovversivo, allora possiamo aprire una discussione fertile e comprendere quello che abbiamo visto.
Partendo dal fatto che fare esplodere una bomba mediatica ogni fashion week dimostra una grande capacità di lettura del presente, dal momento che Demna riesce a galvanizzare un ambiente che vuole tornare alle tradizioni, che va a ripescare vestiti e cartamodelli visti trenta anni fa, piuttosto che evolvere. Tra parentesi è riuscito anche a superare una delle armi più pericolose del popolo di internet: la cancel culture.
L’anno scorso voleva farlo rotolare nel dimenticatoio, con #boycottBalenciaga, in seguito alla blasonata campagna che vedeva i bambini giocare con pupazzi considerati scabrosi dalla stragrande maggioranza degli utenti online perché vestiti bondage. Per la rivoluzione vogliamo denim e pelle, tute da ginnastica e occhiali a forma di farfalle.