Un detto afferma che “l’abito non fa il monaco”. È pur vero, tuttavia, che la nostra apparenza sia il primo contatto con il mondo esterno. Un biglietto da visita. È importante, quindi, trasmettere tramite lo stile la propria personalità. Lavinia Biagiotti si impegna in questo.
La collezione Autunno/Inverno 2018-19, la prima interamente trainata da Lavinia dopo la scomparsa della madre, propone una donna consapevole del suo potere nella società odierna. Guidata da una grande autostima, nata a seguito dei suoi successi in campo lavorativo e sociale, solca la passerella sicura di sé sfoggiando outfit che testimoniano appieno questa presa di coscienza.
Sintomatico il luogo che ospita la sfilata: il Piccolo Teatro di Milano. La Maison, nonostante la perdita di Laura Biagiotti, rimane fedele alle scelte della stilista, la quale vent’anni or sono aveva selezionato proprio questo teatro come spazio per i suoi fashion show, in sostegno della cultura e dell’arte italiana. E così moda e teatro si fondono. La vita si fa palcoscenico. I personaggi con i loro ruoli e i loro abiti diventano reali e il tempo svela un corso instabile, tra flashback e fast forward.
Tra nostalgia e gratitudine, la collezione è un tributo a Laura Biagiotti, la quale, come sostiene la figlia, dava della donna un’immagine reale e non grottesca, poiché la donna deve essere persona, non personaggio. Ad aprire le danze è il bianco Biagiotti, che trionfa in tutto il suo candore nella prima parte della sfilata. Poi la palette si arricchisce di colori, tutti toni speziati e naturali che vanno dal cammello al verdone, dal senape al rosso ruggine.
Un cocktail di pattern anima i tessuti del cashmere, della seta e del velluto. In primo piano sono le trecce, dipinte a mano con chiaroscuri, o trompe-l’oeil con un’inedita illusione ottica nella stampa realizzata in 3D per cappotti, camicie o abiti. Altrettanto presenti sono il tartan, il pied de poul e il principe di Galles, tessuti dal sapore british.
Ecco poi un romantico floreale di rose e ortensie, un fitto camouflage di colori vivaci e persino un classico animalier leopardato. Sulla passerella si alternano pantaloni ampi dal taglio classico, cappotti oversize e pellicce, abiti in cashmere, gonne fluttuanti al ginocchio, blazer dalle linee ben definite, camicie in chiffon e dolcevita.
L’accessorio principe è il cappello. Le scarpe sono flat o stivali under-the-knee con tacco in black patent leather, in pelle scamosciata o con motivo rettile. Lo show si chiude con un gruppo di modelle in total black che indossano l’iconico dolcevita nero, come piaceva al maestro Strehler, con le scritte “Piccolo”, “Teatro”, “Milano” e “Biagiotti”.
«Il Piccolo – afferma Lavinia – è molto più di un teatro. È un pezzo di storia del nostro tempo ed è anche un pezzo di storia della mia vita. Ricordo con struggente commozione l’atteggiamento devoto e gioioso con cui mia madre Laura entrava nella sala prove del Teatro, sempre in punta di piedi, trovando nel convulso pulsare della Settimana della Moda a Milano una vibrante sintonia di arte, di passione, di affabulazione».
E con immenso piacere, questa sintonia resta più viva che mai.
di Debora Lupi