Lungi dal voler essere manifesto di denuncia, la sfilata di Prada per la prossima P/E 2013 si pone piuttosto come didascalia della contraddittoria condizione dell’universo femminino, costretto a combattere continuamente tra domanda/offerta sia degli uomini sia dei dogmi della società odierna.
Mentre in questo particolare momento storico la donna vorrebbe rivestirsi della sensibilità, della romanticità e se vogliamo della fragilità tipica del genere, la società, (sostanzialmente maschile) la vuole forte, determinata, algida come un iceberg, guerriera e “concubina”, il cui corpo è la sola arma di attacco e difesa.
Una collezione di “sogni femminili”, dice la First Lady della Moda Italiana, che vivono sapientemente nascosti negli animi di tutte le donne padrone e altrettanto serve di un mondo in cui il sentimento è stato sconfitto dall’apparenza.
Quale antico ruolo, se non quello di una geisha, si addice di più alla metafora che Miuccia Prada descrive nella labirintica e interminabile passerella di Via Fogazzaro.
Forme tipiche dei Kimoni, per le vesti mai volgari, per questi corpi scoperti strategicamente in nome di una sensibilità velata, che non vogliono vendersi, ma “intrattenere” con arte in cerca di passione, di un Danna odierno che le protegga dal resto del mondo.
L’inquietante e a tratti acidula atmosfera che si vive in questi quindici minuti, accentuata da musiche francesi e da sinistre risate di sottofondo, viene sopraffatta da un’ondata di ironico romanticismo voluto con costanti applicazioni floreali, grafiche e mai scontate, invadenti sulla durezza di una cartella colori che ha come accessorio solo il rosso e qualche verde, in cui il bianco e il nero primeggiano su abiti, soprabiti e tubini. Non mancano a marcare il voto di costante Sacrificio, neanche le pellicce, bianche candide con fiori applicati rossi o neri per smorzare tale durezza (come sarà forse difficile la vendibilità di tali prodotti, non tipici della calda stagione).
Infine anche la calzata non è lasciata al caso e racchiude anch’essa il significato simbolico dell’intera collezione.
Bassissime le tipiche Tabi, le calze con l’alluce separato, con dei fiocchetti applicati, dorate o argentate per non passare inosservate; oppure le okobo, zeppe altissime e dalla dubbia comodità, anch’esse un colpo d’occhio che incuriosisce il fashion system e un po’ preoccupa, forse di vedere prossimamente nelle città occidentali, Geishe metropolitane dalla goffa e buffa camminata…ops forse inciampata!
Una consapevolezza e quindi anche una forza, per noi donne.
Contemporaneamente guerriere, mamme, imprenditrici o “mogli del crepuscolo” come definiva Chiyo le Geishe in “Memorie di una geisha”, appunto.
(di Lydia Cavaliere)