Il messaggio
Stessa location, stesse vibes distopiche e tribali. Come il sequel di un film, questa collezione di Rick Owens è un proseguo della narrazione iniziata a gennaio con l’uomo. La moda ha incontrato la scultura e si sono fuse in una danza di pianeti lontani, si insinuano capi indossabili nella vita di tutti giorni come poncho, giacche super over e la collaborazione con Straytukay, gli ormai immancabili stivali in gomma gonfiabile che hanno dei volumi singolari.
Questa è una collezione impavida che ricalca le parole di Owens a gennaio “c’è l’eterna speranza utopica di un posto migliore” in anni caotici come i nostri, dove ci stiamo approcciando al mondo dell’IA continuando a fare le guerre come duemila anni fa, la domanda di Owens è: “ Che evoluzione umana stiamo vivendo davvero?”. Siamo nell’era della tecnica; eppure, ancora c’è una confusione cosmica tale da metterci uno contro l’altro come i nostri avi.
Tali valori emergono in capi dalle spalle extralarghe, gonne svasate e cappotti shearling, e menzione d’onore va al “cage dress” che ingabbia un corpo nudo, che più che altro immaginiamo nudo, perché coperto da rami fitti e bianchi. Un paradosso che si può accostare al film Matrix del 1999, “pillola rossa o pillola blu?” Preferisci andare in avanscoperta, conscio di poterti ferire, oppure rimanere rintanato dietro queste sbarre che ci proteggono?
La comunicazione
Per dirsi una collezione ben riuscita deve avere un bel concept e questo concept va comunicato bene. Avere un messaggio profondo ma non riuscire a farlo comprendere a chi di moda studia e legge è come non avercelo; chiaramente non si parla di comunicazione “facile” o democratica, non necessariamente il compratore deve capire questi messaggi ermetici. Le vibes sottendono una creatività forte e una lucidità di pensiero che arriva dritta al cuore, attraverso le sfumature del bianco, del marrone e del nero.