Look total black, bandane, turbanti, capelli corti, brillantina, spesse linee di kajal nero ad evidenziare gli occhi chiari ed il tintinnio di numerosi bracciali in legno ed avorio ad accompagnare il suo arrivo. Questa l’immagine che ci si para davanti agli occhi quando pensiamo a Nancy Cunard. Donna del suo tempo, perfetta rappresentate dello stile della Jazz Era, ma al tempo stesso molto più di questo. Mille diverse identità e personalità a costellare l’immaginario di questa straordinaria ed eclettica figura. Modella, poeta, editore, ma anche attivista per i diritti civili, inviata di guerra e traduttrice. Colta, anarchica, dark lady, aristocratica, occidentale, primitiva, seduttrice, provocatrice, androgina e chi più ne ha più ne metta. Tanti piccoli frammenti che insieme danno vita ad uno dei personaggi più interessanti del contesto europeo degli anni Venti e Trenta, una vera e propria icona di stile.
Nata in una famiglia benestante britannica, passa la sua vita facendo tutto tranne quello che usualmente ci si aspetterebbe da una giovane aristocratica. Niente passeggiate a cavallo e partite a golf per Nancy, e nessuna gabbia dorata a costringerla ad un mondo fatto di formalità, buone maniere e ad un futuro e un ruolo già scelti per lei da qualcun altro. Con una piena consapevolezza di sé e di ciò che desiderava dalla vita, rifiuta in toto i privilegi derivanti dalla ricchezza della sua famiglia, che arriva a diseredarla come punizione per le sue scelte amorose e di vita, e rigetta i ruoli di contorno di madre e moglie, troppo stretti per un personaggio così straordinario e alieno al concetto di sottomissione.
Una vita dedicata alla liberazione, personale e sociale, dalle barriere e dai ruoli precedentemente precostruiti. Un corpo privato che si fa portavoce di un messaggio pubblico, un’immagine di sè costruita come manifesto vivente e che urla al mondo discorsi di liberazione, di denuncia e di emancipazione a favore delle minoranze. Ecco cosa rappresenta Nancy Cunard in quegli anni: una donna perfettamente consapevole di sé e delle proprie scelte estetiche e di vita, capace di sfruttare al meglio per i propri scopi il rilievo mediatico derivatole dalle numerose pagine dedicatele da giornali e tabloid.
Prima a Londra e poi a Parigi, ha l’occasione di incontrare e stringere rapporti con moltissimi artisti dell’epoca ed entrare in contatto con le avanguardie intellettuali, come ad esempio dadaisti e surrealisti, con una libertà sessuale mai sperimentata e con una grandissima energia creativa. Questi nuovi legami non fanno altro che acuire la sua volontà di ribellione e la sua ricerca di cambiamento che si fondono, così, ad una missione comune quasi sacrale: quella di sfruttare l’arte, la poesia, la letteratura come mezzi fondamentali per il rinnovamento sociale e culturale.
Una vera e propria ribellione allo status quo accumunava Nancy alle nuove figure che iniziarono a costellare la sua vita e che la avvicinarono inesorabilmente alla scoperta di quegli oggetti di arte primitiva provenienti dall’Africa che ben presto divennero oggetto della sua passione più sfrenata e della sua mania di collezionismo. Un interesse per idoli, maschere, feticci e i bellissimi bracciali in avorio (con cui ricopriva le sue esili braccia e che ben presto diventarono l’elemento identificativo del suo stile) che trova il suo culmine nell’amore e nella relazione super chiacchierata con il musicista afro americano Henry Crowder.
Anticonformista in tutto e per tutto, la Cunard non si fa intimorire né dalle minacce della famiglia, né dall’indignazione e dall’ostilità dell’opinione pubblica, ma anzi trae il massimo dalla sua relazione e dal compagno, che diventano saldi punti di contatto con quella che è la situazione dei neri negli Usa, e la aiutano ad aprire gli occhi su questioni quali la segregazione raziale e le lotte civili che, da quel momento in poi, non si allontaneranno mai più dalla sua esistenza, trasformandosi in motori del suo agire e, inutile dirlo, dei suoi scritti.
Pietra miliare tra questi, la lettera manifesto “Black man and White Ladyship”, primo coraggioso attacco a quella società che l’aveva cresciuta e da cui cercava di allontanarsi da tutta la vita, idealmente identificata con la madre, vista come la rappresentante di quei privilegi, quell’ipocrisia e quel autoritarismo che Nancy rifiutava da sempre. Critica pesante e vera e propria separazione catartica che le permette finalmente di dedicare anima e corpo a quelli che sono i temi che davvero le stanno a cuore: la causa raziale e anticoloniale, l’impegno a favore della diversità e il tentativo di dar finalmente una voce agli “ultimi”.
Da qui nasce – nel 1934 – quello che è il culmine del suo lavoro e del suo impegno: “Negro: an Anthology”. Novecento pagine sulla cultura e la storia afroamericana, un nobile tentativo di restituirle la dignità che le spetta dando voce ad un insieme di 150 autori di razza, sesso e situazione socio-economica diversi, così da poter fornire una sorta di inventario delle lotte del popolo afroamericano, delle persecuzioni subite e delle volte in cui la voglia di resistere ha avuto la meglio, così da dimostrare come non vi sia alcuna giustificazione alla base del pregiudizio raziale.
Un impegno considerevole e continuativo per una causa in cui crede fermamente: è questo quello che ha sempre mosso Nancy Cunard nel corso della sua vita. Che si trattasse di una denuncia scritta (o manifestata attraverso la sua stessa immagine e modo di apparire) o di vero e proprio attivismo politico, come durante la Guerra Civile spagnola, restano sempre vivi in lei l’interesse e la voglia di combattere contro ogni forma di tirannide, di arroganza del potere e di limitazione delle libertà personali.
di Martina Testa