Claudio Bisio, uno dei volti più noti dello spettacolo italiano, ha presentato il suo nuovo romanzo, Il Talento degli Scomparsi, edito da Feltrinelli. L’attore, showman e scrittore ha catturato l’attenzione del pubblico non solo per il suo talento comico, ma anche per la sua capacità di affrontare temi profondi attraverso la letteratura.
Ha iniziato la sua carriera nel cabaret e nel teatro, guadagnandosi un posto di rilievo nella cultura popolare italiana. La sua partecipazione a programmi televisivi come Zelig ha ulteriormente accresciuto la sua fama, portandolo a diventare un riferimento nel panorama comico nazionale. Con un curriculum che include ruoli in film di successo e la direzione di produzioni teatrali, Bisio dimostra una versatilità unica, in grado di spaziare dalla commedia al dramma.
Il Talento degli Scomparsi rappresenta un nuovo capitolo nella sua carriera, in cui esplora con sensibilità temi attuali e complessi. In questo incontro, Bisio condivide non solo le ispirazioni dietro il suo nuovo lavoro, ma anche il percorso che lo ha portato a diventare una delle figure più influenti dello spettacolo italiano.
Quanto c’è di vero e quanto di inventato nelle tue opere?
In realtà, è un mix. Se dico 100% vero e 100% finto, c’è qualcosa che non torna. Non è sbagliatissimo quello che ho detto, nel senso che di totalmente inventato c’è poco. Ogni storia, ogni personaggio, attinge da esperienze vere, sia le mie che quelle di amici. A volte rubo, vaporizzo idee, ma il totalmente vero è facilmente riconoscibile.
Puoi fare un esempio concreto?
Certo! Ricordo di un incidente sul Lago Maggiore qualche anno fa, una barca che affondò con agenti segreti a bordo. Questo è tutto vero. Anche se non ricordo il giorno esatto, ho preso ispirazione da eventi reali. Un personaggio potrebbe aver perso suo padre in quella barca. Ma, di nuovo, questa non è solo un’idea mia, è ispirata a cose vere.
Come influiscono queste esperienze sulle tue storie?
Ogni racconto include elementi veri e inventati. Per esempio, il padre del protagonista muore all’inizio del romanzo. Scoprendo che era un agente segreto, il protagonista affronta un momento drammatico. Questa dinamica non è pura fantasia; è costruita su una base di realtà.
C’è qualcosa di specifico riguardo alla figura paterna nei tuoi racconti?
Sì, il padre del protagonista è complesso. Si presenta come un personaggio distante, con una certa riservatezza. Ho notato che molti padri faticano a comunicare, specialmente su argomenti come la sessualità e l’affettività. C’è una scena in cui la madre chiede al marito di parlare con il figlio di queste cose. Questo riflette una realtà comune: l’incapacità dei padri di affrontare certi argomenti in modo aperto.
Puoi approfondire l’episodio di educazione sessuale che hai descritto?
Certo. Ho descritto una scena in cui la madre chiede al padre di educare il figlio. Tuttavia, il padre si mostra reticente. Questo rappresenta la mancanza di comunicazione tra generazioni e la difficoltà nel trattare argomenti delicati. Un momento che ho trovato significativo è quando il figlio, dopo una conversazione imbarazzante, scopre una verità sul suo passato.
E riguardo alla narrazione e ai personaggi che crei?
La narrativa permette di esplorare diverse dimensioni. Ogni personaggio ha il diritto di esistere nel modo in cui viene descritto, e i lettori hanno il diritto di connettersi con loro. Ho creato personaggi che, pur essendo ben definiti, possono apparire e scomparire, creando spazio per nuove storie. Ad esempio, ho introdotto un analista che offre una visione interessante, e molti lettori si sono chiesti perché non sia presente più a lungo nella trama.
In che modo la tua esperienza come lettore influisce sulla scrittura?
Da lettore, apprezzo la libertà di inserire elementi di dialogo tra lo scrittore e l’editore. Questa interazione arricchisce la narrazione, rendendola più dinamica e coinvolgente.
Nella vita di tutti noi c’è stato un periodo in cui eravamo convinti che avremmo cambiato il mondo; ci puoi raccontare la tua esperienza?
In classe al liceo eravamo in più di 30. Un giorno abbiamo messo dei bigliettini dentro una scatola di scarpe, ed estratto a sorte per decidere cosa avremmo fatto all’università. Tutti volevano fare medicina, lettere, filosofia. A me è, estraendo, è toccato Ministro dell’Agricoltura. E così mi sono iscritto ad agraria, anche se non l’ho mai finita.
Ci racconti il passaggio dalla mancata laurea al turbolento mondo del teatro?
Quando avevo 20 anni ero deluso dalla politica, quindi feci la domanda di anticipo per il militare. Finito questo percorso di un anno, non ho proseguito agraria e ho tentato l’esame alla scuola del Piccolo Teatro. Lo feci di nascosto, perché non pensavo mi avrebbero preso, e invece sono stato accettato.
A quali film di agenti segreti ti sei ispirato per scrivere il tuo romanzo?
Come film posso citarti tutta la serie di 007, ma al di là dei film, la storia trae ispirazione da un nostro amico, che ha scoperto in età adulta che suo padre era un agente segreto dell’MI6.
Hai mai desiderato di essere invisibile o di mettere in qualche modo in pausa la tua notorietà?
Sì, di diventare invisibile e scomparire l’ho desiderato abbastanza. Nel romanzo questo è un desiderio del protagonista, ma in realtà è comune anche tra di noi. Il romanzo per un po’ ha un ritmo lento, poi ad un certo punto prende una piega diversa e tutto precipita; proprio in questo punto, dove le vicende diventano vera e propria azione, c’è questo incrocio tra il desiderio della fama e quello di scomparire.
Domande estrapolate da conferenza stampa