Daniele Mencarelli, poeta e scrittore tra i più intensi e apprezzati della letteratura italiana contemporanea, è noto per la sua capacità di raccontare la complessità dell’animo umano e il senso di trasformazione che attraversa le vite. Con opere come “La casa degli sguardi”, “Tutto chiede salvezza” e il recentissimo “Brucia l’origine” (pubblicato il 15 ottobre 2024), Mencarelli esplora temi universali come la sofferenza, la salvezza, la fragilità e il cambiamento sociale. In questa intervista ci conduce attraverso le tappe del suo percorso, le riflessioni sul potere della letteratura e il significato profondo di trasformazione, tanto personale quanto collettiva.
Il tuo percorso letterario ha toccato temi profondi come la salvezza, la sofferenza e il cambiamento. Come descriveresti l’evoluzione della tua scrittura dagli inizi fino ad oggi?
È stata un’evoluzione dentro quel grande catino che si chiama realtà. Ho raccontato tanti fatti connessi direttamente alla mia vita e, nella fase più di invenzione, ho continuato a fare esattamente lo stesso: testimoniare vicende che considero di grande impatto sociale, culturale ed economico, in un momento storico molto particolare. Anche il mio ultimo libro, “Brucia l’origine”, che sembra trattare un tema più leggero, affronta questioni profonde come la nuova povertà e l’imbarbarimento sociale. Il protagonista, Gabriele, incarna tutte queste trasformazioni, in un mondo dove la lotta di classe è diventata orizzontale e il rancore si rivolge sempre verso chi sta peggio.
Nei tuoi romanzi quanto c’è della tua esperienza personale e quanto dell’ispirazione che trai direttamente dalla società?
Credo che si equivalgano, anche se mi riesce difficile parlare del processo che precede la scrittura. Ammiro quegli scrittori che catalogano tutto in percentuali: vita personale, aneddoti, testimonianze. La mia scrittura è un impasto irrazionale di tutti questi elementi. C’è il mio vissuto, ma anche una funzione testimoniale che considero fondamentale. Anche ho scritto in prima persona nei miei primi romanzi, il mio obiettivo era che i lettori trovassero nel racconto un’importanza per la loro vita. Per uno scrittore, ciò che conta è il risultato, e questo si misura attraverso la lingua.
Sei un autore che riesce a raccontare con grande intensità il cambiamento interiore dei tuoi personaggi. Quanto credi che la letteratura possa aiutare a comprendere le trasformazioni che avvengono dentro di noi?
Veniamo da un lungo periodo che tende ad affermare che la letteratura non salva, e in parte è vero. Ma per me, la letteratura è quella porta che ci fa scoprire altri mondi e ci fa capire che il nostro è molto più simile a quello degli altri di quanto pensiamo. È uno strumento potente per conoscere meglio se stessi e il mondo, e a volte può assumere i contorni della salvezza. La letteratura ci dice che nulla è nuovo, che l’uomo riprende sempre gli stessi temi, rinnovandoli nel proprio contesto storico.
Il festival diPassaggio di Genova, a cui hai partecipato, quest’anno ha come tema la “trasformazione”, che è anche un concetto ricorrente nelle tue opere. Cosa significa per te “trasformazione” e come si riflette nelle tue storie?
Credo che sia una parola specchio rispetto all’animo umano, ma oggi ha una cassa di risonanza enorme. È una parola jolly, che riflette la natura umana: c’è chi non può fare a meno di trasformarsi e chi, per paura, costruisce alibi per restare immobile. La trasformazione spaventa perché richiede di abbandonare i “participi passati” e vivere nei “gerundi”, in quel flusso di cambiamento che ci rende vivi. Purtroppo, il digitale ci sottrae spesso dall’arena della realtà, l’unico luogo in cui possiamo affrontare e superare questa paura. Non demonizzo il digitale, ma dobbiamo usarlo senza rinunciare al contatto diretto con la vita.
Guardando indietro al tuo percorso, quali sono stati i momenti o gli incontri che ti hanno segnato maggiormente come autore? E come vedi oggi la tua relazione con la scrittura e con i lettori?
A 16 anni ho incontrato casualmente la poesia, e questo ha cambiato tutto. Ho scoperto uomini più affini al mio sguardo di quanto potessero esserlo amici o parenti. Un altro momento fondamentale è stato lavorare al Bambin Gesù, una scuola di vita e di scrittura. Infine, nel 2018, la nascita del mio primo romanzo, “La casa degli sguardi”. Questi grandi momenti sono affollati da incontri, amicizie e esperienze quotidiane che sono state decisive per il mio cammino. Oggi vedo la scrittura come un mezzo per restare in dialogo con i lettori e, soprattutto, con me stesso.
Sicuramente, nel corso della tua carriera hai acquisito diverse consapevolezze. Se potessi dire qualcosa al te stesso che ha iniziato a scrivere, cosa gli diresti?
Rifai tutto quello che hai fatto. Il primo treno che ho preso è stato per andare a conoscere un poeta, e oggi, a 50 anni, posso dire che quel viaggio ha dato i suoi frutti. Al me più giovane direi: “Faticherai tanto, soffrirai tanto, ma ne varrà la pena”.