Renato Marcialis – Food art in itinere

 

Il cibo è maschile, ma è la Natura che ce lo offre…e madre natura è donna. Il cibo raccoglie in sè entrambe le anime e rappresenta la vita, se inteso e vissuto in modo positivo.

Oggigiorno non si fa altro che mangiare, parlare di cucina, guardare trasmissioni culinarie e leggere libri di ricette dall’aura molto più commerciale   rispetto agli antichi ricettari degli esperti del passato. Oggi il cibo e la cucina sono appannaggio di tutti e riflettere sul reale significato che esso assume e può assumere è d’obbligo.

C’è chi lo fa tastando con mano e mettendosi ai fornelli, chi gustandolo sedendosi a tavola e chi fotografandolo e trasformandolo in elementi vitali e quotidiani. Quest’ultimo obiettivo viene raggiunto ogni volta da Renato Marcialis, autore di immagini e fotografie sul cibo che paiono dipinti a olio per far vivere ciò che una volta sarebbe stata definita natura morta. Egli rende la frutta e la verdura vitali con arguzia e talvolta ironia.

Per Renato Marcialis il cibo è energia, così come lo sono per noi di le sue opere. Il cibo con la sua forma e colore vuole manifestarsi a noi. Egli utilizza soprattutto ortaggi e frutti, quali melanzane, rapanelli, aglio, fragole, zucche. Poche le rappresentazioni che si discostano da questa tipologia di alimenti: Dolce lussuria è un muffin al cioccolato sovrastato da un peperoncino rosso sgargiante, Il vero tesoro del mare sono ostriche, così come pescagione fresca si trova in Tanta pazienza e un pizzico di fortuna. Latte, infine in Un ricordo lontano…lontano.

l cibo che è vita è quindi per Marcialis, non a torto, quello semplice della tradizione: quello del pesce fresco, dell’orto, del contadino, del dolce fatto in casa e complesso, vissuto come preziosa trasgressione godereccia. Per lui la vita è da godere, è dolce, cresce, qualche volta ha gli artigli, è rappresentata da un ricordo che può essere vicino o lontano, e resta sempre regalo prezioso che sa diventare “perla” “rubino” e “tesoro”.

Noi di Gilt l’abbiamo voluto conoscere e con voi condividiamo le parole che ci ha regalato.

 

Chi è Renato Marcialis e dove e quando inizia la sua carriera artistica?
Veneziano di nascita e milanese d’adozione. La mia aspirazione da adolescente era la musica, cantavo e suonavo la chitarra in un complesso, tutti i pezzi dei grandi complessi degli anni 70. Praticamente non ero mai in casa. Allora mio padre ogni tanto domandava: “ma io non avevo 4 figli? Perché ne vedo sempre 3? Dov’è Renato? ”. E un giorno tanto per sapere sempre dove mi trovavo mi ha braccato, mi ha portato in uno studio fotografico di amici suoi e mi hai detto “stai qui, almeno so 6 giorni su 7 dove sei”. Quindi ho iniziato ad essere l’assistente in questo studio fotografico dove si andava per ville meravigliose, appartamenti da fantascienza.Erano specializzati in matrimoni, cerimonie, e ho visto le più belle case della Lombardia. Ho iniziato così, praticamente facendo il portaborse.

George Bernard Shaw affermava: “ Non c’è amore più sincero di quello per il cibo”. C’è stato un evento ben preciso che ti ha fatto capire che fotografare il cibo sarebbe stata la tua strada?
Anche lì una casualità, tutto è nato perché mio fratello maggiore, sette anni più grande, già art director della Motta, settore appunto dolciario, oltre a disegnare i packaging, lavorava con un fotografo specializzato. A lungo andare si è buttato a fotografare: prima i cocktail, perché nostro padre essendo stato un grandissimo chef-barman l’ha spinto a fare questo tipo di foto. Poi è passato a fotografare beverage, food, ha cominciato così in questo settore. Dopo un paio di anni mi ha chiamato, perché nel frattempo io mi sono specializzato nella tecnica fotografica, a collaborare. E praticamente nel ’76 ho iniziato questa collaborazione che è durata 10 anni. Finché non ho tagliato il cordone ombelicale e ho aperto un mio studio.

“Caravaggio in cucina” questo è il titolo che hai voluto dare alla tua nuova avventura. In che cosa ti senti vicino all’artista?
Caravaggio è stato una scoperta.  Un giorno mi era stata commissionata una foto, dove i soggetti erano delle castagne: il riccio delle castagne, le foglie di castagno, la castagna spellata. La composizione era talmente particolare che ho detto: “Caspita sembra quasi un quadro del 600, qua ci vorrebbe una luce particolare”. Il che ha fatto si che andassi a recuperare un accessorio che avevo comprato 20 anni prima, una fibra ottica di illuminazione che doveva servire per schiarire alcuni punti dei set fotografici, la dove il flash non arrivava. Praticamente lavorando al buio dovevo dosare la luce nel soggetto. Quando è apparsa l’immagine sul monitor  è stata tale l’emozione che subito ho detto: “ Mi ricorda qualcuno!”. Non avendo nozioni d’arte il primo che mi è venuto in mente è stato Caravaggio. Mi ha ricordato il suo modo di realizzare la luce, un raggio di sole che filtra attraverso un pertugio. L’illuminazione è molto importante nella fotografia, dalla tenebra esce questo soggetto. Lui usava sovente figure umane, io per non tradire la tradizione della gastronomia utilizzo soggetti alimentari.

Da cosa trai ispirazione? Che tipo di ricerca caratterizza le tue opere?
Diciamo che prima succedeva che quando ero in giro per supermercati o bancarelle se notavo un alimento particolare, con una forma piacevole, lo acquistavo e lo portavo in studio e realizzavo l’immagine, ora invece avendo acquisito insieme alla mia compagna un terreno nelle Marche abbiamo un orto che produce questi ingredienti. La prima cosa che faccio è scegliere quelli che piacciono a me, non tanto da mangiare quanto da fotografare. Dopo di che fotografati vanno a finire in pentola.

Non fotografi mai i cibi già cucinati?
Si si beh certo. Ho fatto un sacco di libri, per aziende, cataloghi. Ci sono alcuni lavori che faccio io personalmente. Altri per cui mi avvalgo della food stylist.

Credi che la figura dell’artista abbia un compito ben preciso? E se si qual è  il tuo, nei confronti del pubblico con cui ti relazioni?
Essendo l’arte una cosa molto effimera e soggettiva io lo faccio per me stesso, cioè godo nel realizzare l’immagine. Poi è ovvio che se qualcuno dietro di me dice “Ah, che bello!” mi fa piacere. Mi fa piacere anche se uno dice “mmm c’è un errore”, perché voglio capire dov’è l’errore che ho commesso, perché come diceva Totò non si nasce imparati.

Qual è il complimento più bello che le è stato fatto?
Il complimento che mi è capitato spesso è stato quello di dover insistere per spiegare che le mie foto non sono quadri a olio. Mi facevano notare la texture di questi soggetti che in fotografia è difficile da realizzare, la si può ottenere si con la pittura, ma con una perfezione assoluta, cosa che io riesco a fare con le foto. Forse anche per la miscellanea di componenti che messi assieme alla tecnica, all’obiettivo, al diaframma e ad altre elementi portano a questa, non dico perfezione, ma sicuramente son particolari. Analizzando le opere centimetro per centimetro si scoprono delle cose meravigliose, tanto più che ci son persone che perdono anche mezzora davanti ad una foto.

Quali sono i progetti per il futuro?
Il progetto per il futuro, che sto realizzando, è, con l’acquisizione di un terreno di otto ettari nelle Marche, costruire una struttura ricettiva. Questo agriturismo, che verrà gestito da me e dalla mia compagna (anche lei è nel settore alimentare perché ha fatto una scuola di cucina professionale), avrà al suo interno una struttura opportunamente adibita a studio fotografico, per realizzare immagini sempre di gastronomia e portare avanti il discorso di Caravaggio. Dalla produzione alla consumazione, si passerà quindi prima dall’immagine…colto, fotografato e poi mangiato! Inoltre adesso con questa nuova prova che ho fatto: fotografare l’essere umano, con questi tempi lunghi di esposizione, con questa tecnica si realizza un nuovo filone: riprodurre la persona pur sempre in relazione ad uno o più ingredienti alimentari.

 

 

(di Stefania Bleve)

 

 

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