A tu per tu con Franco Pepe, il primo pizzaiolo in Italia ad aver ricevuto dal presidente Mattarella l’onorificenza prestigiosa di Cavaliere della Repubblica Italiana. Franco nasce come professore di educazione fisica, ma le sue passioni sono sempre state la cucina e la pizza, che erano l’attività di famiglia.
Quando ha deciso che avrebbe voluto fare il suo lavoro?
Io sono praticamente nato dentro una pizzeria a conduzione familiare. Mio padre usava la pizzeria come luogo di famiglia, quindi è stato un processo molto naturale.
Quanto il territorio circostante influisce su questo mestiere? Ad esempio, un pizzaiolo che lavora in una grande catena all’estero, può avere la stessa contaminazione come se lavorasse in Italia?
Bisogna capire dove vai a creare un progetto, è un po’ come lavorare in città o in periferia. Nel mio caso il territorio è importantissimo perché è stato il punto di forza del mio progetto. Dove sono io, sulle colline Caiatine nell’alto Casertano, mi sono accorto che c’era tantissimo da poter esprimere sulla pizza, soprattutto sulle materie prime importanti. Ora si è creata una microeconomia circolare e una sostenibilità del progetto.
Lei è famoso per essere uno dei pochi rimasti ad usare la tecnica dell’impasto a mano, come mai?
Perché non bisogna mai dimenticarsi il saper fare le cose con le mani, senza però demonizzare mai il progresso. Nelle mie consulenze ci sono anche le impastatrici, la mia idea è guardare con interesse alla tecnologia, tanto che per me il futuro è un macchinario che può togliere all’uomo la fatica di certi step di lavoro. Ci sono però delle fasi dove la percezione umana attraverso i sensi dona la vera identità al prodotto. Non si possono formare dei ragazzi senza la percezione sensoriale, questa è una sensibilità che l’impastatrice non potrebbe mai raggiungere. Oggi le materie prime, come i grani, hanno un così alto tasso di instabilità che non danno mai la stessa resa se lavorati con dei processi standard…è l’uomo che ha la percezione di qual è il metodo più adatto.
Quale pensa sia il suo know-how che lo differenzia dai suoi colleghi del mestiere?
Sono stato capace di scomporre la figura del pizzaiolo creando un team che abbia come minimo comune denominatore il sapere e la formazione. Lavorano con me agronomi e biologi nutrizionisti che apportano ogni giorno delle conoscenze al processo di lavorazione della materia prima.
Lei concepisce il suo mestiere come una continua rielaborazione, ricerca, evoluzione. In che modo si può spaziare con un cibo così semplice?
Nell’accortezza di scegliere materie prime, iniziando dai grani. Il mio più grande obiettivo è scardinare l’immagine della pizza come cibo-sgarro e rendere questo alimento sano. Sono stato eletto ambasciatore della dieta mediterranea e ho creato un menù che porta il nome di “Menù La Pizza Mediterranea”. Mi sono confrontato con le università e ho unito la parte scientifica per creare un piccolo menù di 12 pizze che rappresentino un pasto sano e non più uno strappo ad un regime alimentare. Di queste, l’associazione AIC me ne ha riconosciute 7.
Negli ultimi anni abbiamo visto l’industria del food cambiare per avvicinarsi sempre di più ad un ideale estetico sia nella realizzazione che nella presentazione finale. Crede si tratti di un progresso o di una moda?
Tutto dipende dalla finalità. La mia pizza è lavorata prima, durante e dopo la cottura perché – ad esempio – se vado a posizionare delle materie prime soltanto dopo la cottura, queste possono perdere il loro apporto nutrizionale a 400 gradi. L’estetica deve avere sempre una duplice finalità, un perché. Io cerco sempre di regalare al palato delle emozioni diverse, giocando con consistenze e gradi di calore contrastanti che appagano l’occhio, ma soprattutto hanno dietro un motivo.
Quali sono gli elementi essenziali per fare una pizza ad arte?
Oggi la pizza non è solo un cibo da strada. La pizza è un piatto a tutti gli effetti, che va realizzato con competenze tecniche e scientifiche. Somministrare un cibo oggi è un atto di responsabilità, e il futuro sta nel mangiare sano. Il mio obiettivo è lavorare per un cibo che viene raccontato e presentato con consistenza e amore.
Oggi gli chef e i pizzaioli sono diventati celebrities anche grazie ai social media, come gestisce l’attenzione mediatica?
Faccio molta attenzione. Cerco di comunicare sempre un 20% in meno di quello che vorrei pubblicare. Oggi c’è troppa comunicazione sul food, soprattutto sulla pizza, e a volte bisognerebbe focalizzarsi maggiormente sulla qualità di quello che si comunica.
Progetti futuri?
Io sono uno dei pochi pizzaioli che ha detto no ai grandi progetti sulle piazze, che portano soltanto affluenza. Portare la pizza fuori Caiazzo deve essere una questione di stimoli, di accrescimento. Per me è importante lavorare su obiettivi di piccoli progetti, dove ci sono delle finalità che vanno oltre quella economica, come ad esempio portare la mia pizza a dialogare con l’alta ristorazione. Ma se devo dire qual è il mio obiettivo per eccellenza: trasmettere ai miei figli e ai miei ragazzi il sapere. Il mio più grande desiderio è quello di guardare la continuità e la sopravvivenza di quello che ho creato e, successivamente, infuso loro.
Un ringraziamento speciale a Franco Pepe per i suoi preziosi insegnamenti, augurandogli il meglio per tutti i suoi progetti!