Dopo sei anni dalla sua ultima esibizione, Tiziano Ferro ritorna sulla scena musicale con uno degli eventi più attesi dell’anno: l’uscita dell’album “Il mondo è nostro”. In questo capolavoro composto da 13 brani, Tiziano si è messo a nudo raccontando un nuovo capitolo della sua vita e ricordando tutti i momenti passati. Un album di introspezione, riflessione e riscoperta.
Questo disco è un inno alla gratitudine e alla gioia di vivere il presente. Raccontaci il mood di questo album.
Io scrivo e basta, è una cosa che non è mai cambiata. Agli esordi la musica era il mio linguaggio principale, poi con il tempo ho imparato a dire le cose facendo pace con il parlato. Ho addirittura fatto un documentario sulla mia vita, non me lo sarei mai aspettato.
Nel brano “Il paradiso dei bugiardi” nelle note scrivi che te la prendi anche con te stesso. Quanta evoluzione artistica e umana occorre per scrivere quello che si vuole?
Io penso che l’età giochi un ruolo importante, inizi a fregartene degli altri e c’è una presa di coscienza netta. Gli haters li creiamo noi, perché siamo noi che li facciamo esistere. Quante volte accade che un commento negativo occupa la nostra mente più di mille positivi? L’essere umano spesso sceglie l’autodistruzione all’auto-conservazione. Ho capito che il vero hater di me stesso ero io perché io li ho inventati, io gli ho permesso di avvicinarsi. Ho perso di mira l’obiettivo perché perso in un mondo – quello digitale dei social – che mi ha confuso. Ho dimenticato le cose essenziali e me ne sono accorto quando, spostando il tour nel 2023, mi sono chiesto se le persone volessero starmi affianco davvero. Quando ho visto che i fan sono rimasti lì ad aspettare il rilascio di una nuova data, ho avuto un momento di auto monito dove ho capito di aver speso troppo tempo dietro a chi mi ha ferito dimenticandomi di guardare chi mi vuole bene.
Rispetto ai tuoi album precedenti, quest’ultimo contiene 5 duetti. A cosa è dovuta la scelta di ampliare le collaborazioni? C’è mai stato qualcuno con cui avresti voluto duettare ma non hai potuto?
La musica italiana è permeata da una mentalità vecchia dove non è ben visto fare collaborazioni. Come noterai, gli album dei grandi artisti italiani non contengono quasi mai duetti. Io sono un grandissimo fan delle collaborazioni ma mi è sempre stato sconsigliato farle. Sono incredibilmente felice di constatare come oggi i giovani abbiano sdoganato l’approccio al featuring. Se guardi dietro un disco di un artista soul, afro, R&B (la musica con cui sono cresciuto io), ci sono tantissime collaborazioni. Per me è stato facile farlo perché mi piacciono troppo le persone, quindi farei molta fatica a dirti con chi non farei un feat.
A proposito di questo, perché hai scelto Tha Supreme, un artista così lontano da te?
Tha Supreme e io abbiamo date di nascita lontane, non mondi: ascolta quello che ho ascoltato anche io, parla di quello di cui parlavo io. Ho conosciuto un ragazzo curioso che sta facendo musica con l’alfabeto della sua generazione. Credo che lui abbia segnato una linea che determina l’inizio di un pop nuovo, e fino ad ora non c’era nessuna scuola di cantautorato musicale italiano che avesse creato una linea di confine così netta. Da qui si parte. Lui fa qualcosa che sa di permanente e mi sono trovato molte volte ad ascoltare me alla sua età, riconoscendomi nelle cose che dicevo anche io. Sono convinto che lui sia molto più bravo di quello che sa e che dobbiamo aspettarci da lui grandi cose.
Hai mostrato consapevolezza e fierezza nel cantare i tuoi fatti più intimi, come se questo album fosse un diario. Si è trattato di un lungo processo di introspezione?
Consapevolezza o meno, io scrivo sempre al massimo della chiarezza. Mi annoiano e disturbano i filtri. Trovo davvero logorante sprecare lo spazio libero di un disco per scrivere cose che non mi galvanizzano. Non ho mai usato la parola fierezza per questo disco, ma sono sempre stato fiero di quello di cui parlo anche quando parlavo di svantaggi, fragilità, difficoltà, perché sono le cose che mi hanno permesso di cercare un’evoluzione e anche perché i difetti e le cose per le quali veniamo additati sono ciò che ci rende unici. Passiamo una vita a sperare che le persone si ricordino di noi ma sprechiamo un sacco di energie nell’assomigliare agli altri. Ad oggi posso dire di essere felice di aver passato un’adolescenza da disadattato piuttosto che qualcuno che voleva per forza appartenere ad un gruppo.
Ti sei trasferito all’estero, hai cambiato vita, sei addirittura diventato papà. Cosa diresti al Tiziano degli esordi?
Gli direi di fidarsi del suo istinto e andare avanti anche se le cose non sembrano girare per il verso giusto. Di fidarsi del copione che gli è stato riservato. Se ti abbandoni all’idea che ogni tanto quello che ti succede, anche se non ti piace, esiste perché c’è un disegno un pò più grande e riesci a far diventare le crisi un punto di ispirazione, allora hai vinto. Questa è la cosa che ci avvicina di più alla felicità. Questo lo direi a tutti.
Hai dedicato tre canzoni alla paternità parlandone con una tenerezza incredibile, soprattutto nella canzone “La mia prima festa del papà”. Come ti sta trasformando questo nuovo ruolo?
Inutile dire che la paternità ti sconvolge l’esistenza, te la reinventa e ti fa instaurare un rapporto più pratico con te stesso. Sono riuscito anche a far indietreggiare il mio ego e la mia capacità di dedicarmi troppo al pensiero e alle paranoie. Le mie priorità sono cambiate e quelle meno importanti si sono rivelate tali in modo velocissimo.
Abbiamo parlato di consapevolezza, qual è la tua più grande soddisfazione che ti sei preso ora?
Duettare con Sting. Quando canti e ti trovi di fianco il personaggio che ha inventato la musica moderna, non puoi fare a meno di menzionarlo. Quella è stata una cosa miracolosa che non ho cercato ma che mi ha fatto sentire veramente abbracciato.
Sei anni lontano dai palcoscenici, come hai vissuto questo distacco?
Sono carico di sensazioni potentissime che so che trasmetterò una volta sul palco. Il concerto per me è essenziale, perché è quello che più mi porta alla realtà. É una cosa così antica: c’è il cantante, il palco e la gente. Nient’altro. Questa cosa vince sempre su tutto, perché ti da una sensazione di sollievo enorme: sai a chi ti stai rivolgendo e percepisci l’emozione.
Un ringraziamento speciale a Tiziano Ferro, augurandogli il meglio per la sua vita, la sua carriera e tutti i suoi progetti futuri!