Intervista a Giglia Marra: dalla Puglia a Venezia, un viaggio tra Cinema e Impegno Sociale

In occasione della sua partecipazione alla Mostra del Cinema di Venezia, Giglia Marra si racconta a Gilt Magazine, condividendo riflessioni sulla sua carriera e il suo impegno nel cinema

di Sophie Guazzarini

Dalla Puglia a Roma, hai intrapreso un percorso significativo per inseguire la tua passione. In che modo le tue radici pugliesi influenzano il tuo lavoro artistico? 

Le mie radici pugliesi sono fondamentali nel mio lavoro. Avere radici ben salde mi permette di mantenere un forte legame con la realtà, ma al contempo di lasciare spazio alla creatività e a un pizzico di follia. Dico spesso: “Radici ben salde e testa tra le nuvole”, che è un po’ il modo di vivere di molti attori del Sud. Siamo partiti con una valigia piena di sogni per raggiungere Roma, studiare e fare cinema. 

Hai interpretato ruoli complessi e impegnativi, come in Squadra antimafia 3, dove hai dovuto imparare il dialetto palermitano. Come ti prepari per affrontare questi ruoli sfidanti? 

Quando devo interpretare un ruolo che richiede l’uso di un dialetto del Sud, la prima cosa che faccio è immergermi nella cultura locale, frequentando persone del luogo. Ho molti amici provenienti da diverse regioni, quindi mi faccio aiutare da loro. Ascolto musica, guardo film: questo mi aiuta moltissimo e, devo ammettere, è anche qualcosa che mi diverte. Ho recitato in una serie Rai (ngl) parlando in dialetto barese, e in Puglia i dialetti sono molto differenti tra loro. 

È evidente che per adattarsi così bene a un nuovo dialetto ci sia anche una componente di talento.

L’attore deve essere come uno sportivo: l’esercizio è indispensabile. Non siamo macchine. Per uno spettacolo teatrale, ad esempio, interpretavo una ragazza sordomuta, e per prepararmi ho frequentato una scuola per sordomuti, diventando amica di un ragazzo che mi ha insegnato a “segnare il copione” con il linguaggio dei segni. Sono sfide che accetto con entusiasmo. 

Alla Mostra del Cinema di Venezia si discute spesso del futuro del cinema italiano. Quali sono, secondo te, le sfide più grandi che il nostro cinema dovrà affrontare nei prossimi anni? 

Ritengo che una delle sfide più importanti riguardi le tematiche legate alle donne. Anche se il mondo si evolve, c’è ancora molto da fare. Il cortometraggio che abbiamo presentato a Venezia affronta il tema dell’interruzione volontaria di gravidanza (IVG), un argomento molto delicato. È fondamentale difendere la libertà di scelta, e questo tema va trattato con la dovuta attenzione. L’autodeterminazione dovrebbe essere un diritto di base, ma purtroppo siamo ancora giudicate per queste scelte. Alcuni addirittura propongono di abolire questo diritto, alimentando un sistema giudicante che si basa sulla vergogna. Il cinema ha il compito di mettere in luce queste contraddizioni. 

Il tuo nuovo film, Sette Settimane, affronta proprio questo tema delicato. Cosa ti ha attratto di più in questo progetto e come ti sei preparata per interpretare il tuo ruolo in questa storia?

Sono stata subito colpita dalla sceneggiatura e ho voluto partecipare per dare voce a questo argomento, nonostante il mio ruolo fosse scomodo. Interpreto “la cattiva”, un personaggio completamente diverso da me: freddo e distaccato. È stata una sfida notevole, poiché io sono l’opposto. Interpretare una donna cinica è stato difficile, ma estremamente stimolante.

È proprio quando un attore esce dalla sua zona di comfort che si dimostra la sua bravura, non credi?

Sì, assolutamente. In questo film dovevo pronunciare frasi terribili mantenendo un grande distacco. Un attore non può permettersi di giudicare i ruoli che interpreta, deve immergersi nel personaggio e rappresentarlo al meglio.

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