Marco Stefano Belinelli, classe 1986, è fra i più celebri cestisti italiani. Gioca nel ruolo di guardia nei Sacramento Kings e nella Nazionale italiana. È il primo (e unico) italiano ad aver vinto il titolo NBA (conseguito nella stagione 2013-2014 con i San Antonio Spurs).
Gilt lo ha intervistato in esclusiva per voi!
– Si è trasferito a 21 anni in America. Qual è stata la prima differenza che ha riscontrato con l’Italia sia nel gioco che nella vita quotidiana?
Era la prima volta che mi allontanavo da casa quindi era tutto un altro mondo, in ogni minimo dettaglio: dal gioco, alla semplice vita quotidiana.
– Circondato da fratelli sportivi. Come mai si è appassionato e ha scelto proprio il basket?
Il Basket era lo sport che seguiva mio fratello maggiore, Enrico, che ha 10 anni più di me. Seguivo con lui le partite NBA in Tv, guardavamo insieme le VHS di Jordan, e andavo con lui al campetto a giocare nonostante fossi il più piccolo. Questa mia passione è indubbiamente nata grazie a lui.
– Marco Belinelli e Emanuel Ginobili: quale potrebbe essere la metafora (sportiva o non) per rappresentare al meglio il vostro rapporto?
Una volta l’ho definito il “mio fratello maggiore”, e in effetti direi che è proprio così. Quando ero alla Virtus, Emanuel era un campione, io solo un ragazzino di 16 anni aggregato alla prima squadra. Successivamente, a San Antonio è stata la persona che mi ha aiutato ad entrare nel sistema più velocemente. Grazie a lui ho imparato moltissimo. E’ un grande professionista e un grande uomo.
– Oltre all’indiscutibile bravura, quale considera il valore aggiunto che le ha permesso di entrare a far parte proprio dell’NBA?
Volontà e determinazione. Io non ho mai mollato, anche quando avevo tutti contro. Sapevo chiaramente quale fosse il mio obiettivo, e l’ho raggiunto anche grazie alle critiche ricevute; mi hanno rafforzato.
– A soli 21 anni riceve il premio Reverberi, l’Oscar del basket! Come ha influito, se ha influito, ricevere questo premio su Marco “persona” e non sulla carriera della guardia Belinelli?
Mi ha fatto molto piacere, ma non mi fermo mai a pensare ai premi o alle vittorie; nel momento in cui li raggiungo, volgo sempre lo sguardo più avanti, al prossimo obiettivo.
– Attualmente la sua vita è in America, ma che cosa dell’Italia ha portato con sè?
Le abitudini alimentari, il mangiar sano e.. Il caffè espresso!
– E’ stato definito campione anche in ambito fashion. Può descriverci il suo outfit ideale?
La moda mi piace, ma non la seguo. Mi piace mantenere il mio stile piuttosto che dover per forza indossare l’abbigliamento più in voga del momento semplicemente perchè fa tendenza. Adoro i Borsalino e mi piace indossare calzini particolari. Ho una passione per lo stile YSL, anche se poi lo interpreto a modo mio.
– Nella classifica dei capi che nel suo armadio non possono mancare, si trovano cappello ed orologio. Può raccontarci la sua passione per questi due oggetti cult?
I cappelli mi piacciono, soprattutto come ultimo tocco per completare il look. Ne comprerei di continuo anzi, se Borsalino volesse pensare a me per la prossima Campagna….(ride). Gli orologi invece sono accessori che mi affascinano: gli ingranaggi, la precisione. Amo in particolar modo quelli di Audemars Piguet, ne ho una discreta collezione. Gli uomini Audemars Piguet sono ottimi amici con cui mi diverto sempre quando torno in Italia.
– È stato testimonial di Dolce & Gabbana, è apparso sulla copertina di GQ, ed è riuscito a conquistare il cuore dei tifosi sul campo da basket. Cosa mancherebbe a Marco per (auto)definirsi un vero uomo di successo?
Credo che il successo sia dato da quello che lasci agli altri, dall’esempio che fornisci ai giovani e dalla storia che scrivi. Per me il vero successo è sapere che un bambino possa prendermi come esempio positivo da seguire, imparando a non mollare mai.
– Sappiamo che il fattore fondamentale che permette all’uomo italiano di conquistare le donne americane risiede proprio nello spiccato “fascino latino”. Ha funzionato anche nel suo caso?
Confermo, noi italiani in America partiamo avvantaggiati, ci sappiamo indubbiamente fare!
di Noemi Piccoli
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