Laura Pranzetti Lombardini: alle buone maniere

Quando si sente parlare di Galateo, spesso, la mente si congiunge con qualcosa di attempato, come se ormai non ci riguardasse più, sottovalutando l’importanza che determinano certe norme di buona condotta per il benessere sociale. In un’epoca in cui si pensa di aver detto tutto di tutto, esplorato qualsiasi territorio al punto da domandarci se ci sia ancora qualcosa in cui i giovani possano mettere mano, ci siamo dimenticati dell’importanza dell’educazione: principio base per la buona riuscita di ogni progetto.

Laura Pranzetti Lombardini, autrice del “Dizionario Contemporaneo di Buone Maniere”, ha acceso un faro sulle regole che determinano il buon vivere quotidiano che incentra la sua essenza nel rispetto verso se stessi prima di tutto. Pratico, veloce e moderno, questo manuale, diviene una guida utile per ogni età e per ogni circostanza; non impone regole, ma consiglia una direzione per vivere con buonsenso ogni contesto della nostra vita.

Senza dimenticarci di sorridere!
Da cosa è nata la volontà di scrivere il “Dizionario Contemporaneo di Buone Maniere”?

“L’idea è emersa dall’intuizione dell’editore editoriale di Feltrinelli Gribaudo: abbiamo parlato dell’ineducazione dei giovani, ignari di che cos’è “ineducato” poiché esiste negligenza, ma anche perché le mamme lavorano e i bambini vengono lasciati maggiormente soli; ho espresso il desiderio di produrre un dizionario molto veloce diretto ai giovani e per qualche giorno sono andata in giro con un taccuino osservando la gente che saliva e scendeva dagli autobus, in metropolitana, nei negozi, i miei figli a tavola, come si salutavano le persone, l’approccio durante il dialogo, l’utilizzo del cellulare in pubblico. Dai miei appunti è scaturita una lunga riunione ed è arrivato il contratto! Io sono docente di master post universitario di cerimoniale e comunicazione e anche in quei contesti avevo annotato le domande che mi facevano gli studenti riguardo il desiderio di comprendere quali sono le regole del corretto vivere. Succede anche in casa di riprendere un figlio e sentirsi rispondere “ma lo fanno tutti”, io credo che sia corretto dire semplicemente: “benissimo, noi non siamo tutti”.”

 

Il tuo libro ha riscosso grande successo, immaginavi che potesse essere così positivo il giudizio del pubblico?

“Minimamente. Io non sono autrice, né scrittrice, curo le relazioni esterne e per me era insospettabile tanto che l’ho ritenuto un regalo della vita: il mio ricavato va ad un’associazione benefica Mus-e onlus che favorisce l’integrazione dei bambini in età scolare attraverso l’arte.”

 

Ti sarà capitato di assistere a numerosi episodi di cafoneria, ne ricordi uno come il peggiore?

“Tutti assistiamo a episodi sgradevoli, non sono un giudice dei costumi sociali, molti intuiscono che non è appropriato non cedere il posto ad una persona con difficoltà motorie, oppure salire sui piedi della gente, saltare le code; è questione proprio di civiltà. C’è inciviltà a tutti i livelli. Ad esempio ad un ricevimento di gala mi ha colpito notare che di fronte ai buffet, disparsi lungo i giardini, persino le persone di alto rango hanno fatto emergere una fame atavica saltando la coda e stazionando in prossimità del cibo senza lasciare posto agli altri. Non sto parlando di persone che non sanno come ci si comporta, è che esiste una sorta di sopravvivenza maleducata anche tra la gente che dovrebbero essere d’esempio.”

 

Hai trovato ottimo riscontro in ambito televisivo, avevi questa ambizione all’inizio del tuo progetto?

“No, non me lo aspettavo, sono stata travolta dalle buone maniere! Io fino a due anni fa, tempo in cui è uscita la prima edizione del “Dizionario Contemporaneo di Buone Maniere” edizione Gribaudo, non mi aspettavo nulla, non mi aspettavo neppure di divulgare buone maniere. È stato un punto di partenza, da qui ho preso contatto col mondo della radio, ho scritto degli articoli, vengo considerata un’esperta di Bon Ton . Analizzo e comunico la regola. Questo non toglie che anche io sono umana: capita anche a me di spazientirmi in macchina o di alzare la voce con i miei figli o di fare cose che l’educazione non contempla, ma un conto è il formalismo e un conto, invece, è l’educazione concreta che fa in modo di stare bene in società e di conseguenza stare bene con noi stessi”.

 

C’è un autore/autrice che trovi interessante?

“Si, ce ne sono moltissimi, in famiglia leggiamo molto. Rispetto a prima, però, quando mi regalano qualcosa o acquisto qualche libro che non è di mio interesse, non lo porto a termine. Ultimamente ho riletto, per motivi familiari, alcuni canti della Divina Commedia e reputo che sia il libro dei libri. È la quinta volta che mi avvicino a quest’opera: prima alle medie, poi al liceo, ancora insieme ai figli durante gli studi liceali e adesso con mia figlia Carolina che ha affrontato l’ultimo esame prima della laurea, proprio sulla Divina Commedia: intuisci la genialità, la vivacità, la fantasia e la modernità che, forse, puoi apprezzare solo da adulto.”

 

Quale ritieni che sia il modo migliore per far notare ad un amico o conoscente un comportamento non idoneo? In che modo si può evitare il rischio di essere presuntuosi?

“Nessuno si deve ergere a giudice. Io riporto spesso l’esempio del “Buon appetito” che non va detto perché uno se lo augura in cuor proprio, ma se qualche ospite lo dice è molto meglio rispondere “Buon appetito”, sapendo che non va detto, piuttosto che far calare il gelido silenzio perché le buone maniere sono anche mettere a proprio agio gli altri. Ci sono vari livelli scanditi dalle necessità di educazione: alcuni sfociano nel formalismo e allora passano in secondo piano, ma altri sono concreti e diventano regole di vita. Questo vale anche per avere successo, proviamo a pensare all’efficacia di un colloquio di lavoro svolto con educazione, con i giusti tempi, con l’abbigliamento idoneo, nel rispetto delle gerarchie, non essere noiosi nel momento in cui ci offrono qualcosa da bere. Sempre tutto con intelligenza e imparare da chi reputiamo migliore di noi:è importante avere dei modelli di riferimento.”

 

Hai avuto o hai qualche modello di riferimento? Con chi ti confronti in caso di dubbi riguardo gli argomenti che tratti?

“Sì, prima di tutto le cose che so provengono dall’educazione di famiglia che è stata un po’ severa. Lì per lì mi sembrava troppo severa, ora invece ringrazio per questo. Successivamente, ho sposato una persona che è un vero signore in maniera naturale, non costruita, per cui ho continuato a respirare un’aria corretta. Per quanto riguarda, invece, le situazioni tecniche mi confronto con il mio futuro coautore perché abbiamo in uscita nel marzo 2015 un secondo libro sempre per Gribaudo che tratterà tutta la sfera dello scrivere, sia in ambito sociale che in ambito istituzionale, ad esempio: come si chiede un patrocinio, un alto patronato, come si scrive rivolgendosi ad un vescovo, come si fanno le condoglianze, come si invita ad un matrimonio, a un battesimo oppure a una festa, ad un anniversario o a un compleanno e ancora come si scrive un biglietto di ringraziamento. Insomma, tutto ciò che riguarda lo scrivere, è un volume che non è ancora in commercio e speriamo che diventi un riferimento. L’ho scritto con il quirinalista Michele D’Andrea che è grande esperto di cerimoniale, di stemmi e di araldica , di educazione in generale. Il mio confronto avviene con lui. Vorrei che si prendesse coscienza che un biglietto scritto resta, specialmente nell’epoca della rete in cui si brucia tutto. Inoltre in questo libro affrontiamo anche come si scrive una mail, come si scrive per un blog, su Facebook, con rispetto alle corretta educazione, non psicologico o sociologico.

 

Qual è il contesto in cui ti senti maggiormente a tuo agio? E viceversa quello che ti crea soggezione?

“Paradossalmente dove mi mettono sto e ho la fortuna di prendere il buono di ogni circostanza. Sono a disagio di fronte alla stupidità, a quel punto rasento l’indifferenza. Capisco che non c’è nulla da fare e mi chiudo in me stessa, in quanto credo che non valga la pena parlare. In circostanze come questa, mio marito –che non è un estroverso- incomincia a tamponare i miei silenzi conoscendomi molto bene.
Ecco, sono a disagio di fronte alle stupidità ed è più forte di me, vorrei riuscire ad andargli dietro, perché in realtà bisogna essere liquidi, bisogna trovarsi bene sempre, ma in alcuni casi non ci riesco. L’educazione, invece, è qualcosa che ti appartiene, è qualcosa che metti in atto prima di tutto quando sei da solo e secondariamente viene naturale comportarsi in modo educato con gli altri: esempio i nonni consigliavano di apparecchiare tavola come se ci fossero sempre ospiti a cena anche quando non c’erano.

 

Per te, quindi, è importante adottare le buone maniere prima verso se stessi?

“Funziona. È una delle regole vincenti. A questo discorso appartiene anche il fatto di non uscire di casa in modo disordinato, stropicciato, con le macchie sul vestito; è importante avere le unghie in ordine, i capelli a posto, un decoro della persona che implica rispetto ed educazione verso se stessi, ma anche verso gli altri. Bandita la sciatteria!”

 

Con chi ti piacerebbe lavorare?

“Sto già lavorando con belle persone professionali e serissime. Poi si va anche un po’ per esclusione: bisogna seguire il proprio istinto, andare con i propri simili per parlare lo stesso linguaggio e avere la stessa visione verso la vita. Con il mio coautore, con il quale ci sentiamo diverse volte al giorno (viviamo in città diverse) per far collimare le idee, se non ci fosse educazione da parte di entrambi, non avremmo retto per scrivere un manuale del genere.”

 

Che rapporto hai con il lusso?

“Molto relativo. Nel senso che mi piace moltissimo il bello da quando sono nata, ma un bello non ostentato, non esibito; I miei lussi si riferiscono al fare le cose che mi piacciono come comunicare, scrivere, viaggiare, stare con la mia famiglia ed essere orgogliosa di loro, questo è un grande lusso.”

 

Sei severa verso te stesa?

“sì, molto e cerco di non creare un’osmosi verso i figli. Ho una grandissima fortuna: intuisco la felicità e i momenti felici che sono spesso brevi e possono appartenere ad una gentilezza, una soddisfazione. La considero una dote che non dipende da me, si nasce capaci di saper vedere la felicità; però ci si può lavorare.”

 

Ti è mai capitato di notare se le persone, in tua presenza, prestassero maggiore attenzione al comportamento?

“No, non penso, anche perché io ho dato un approccio ironico a tutto questo. L’altra sera ero a cena con persone che ho reputato essere incredibili: da ognuno di essi c’è qualcosa da imparare e ironizzavano chiedendomi cosa è giusto fare e cosa non si fa, ma erano tutte persone che potevano fare il mio mestiere, perché il realtà io parlo di cose che dovrebbero essere scontate. Un esempio: lo smoking non va indossato alle cerimonie, ma va indossato l’abito scuro, il tight o mezzo tight perché lo smoking nasce come abito da fumo (da cui il nome), era per il tempo libero. In America lo usano anche nelle cerimonie, come ad esempio al matrimonio di George Clooney, ma anche in altri matrimoni famosi avvenuti in Italia come Trussardi-Hutzinger; è un errore di logica, ogni situazione ha un percorso storico di cui bisogna tenere conto.”

 

Desideri?

“Desidero continuare a fare cose che mi piacciono. Desidero che la gente non si crei falsi problemi ma risolvano quelli reali. E vedere qualche sorriso in più che fa bene a chi lo fa e a chi lo riceve.”

www.buonemanierecontemporanee.blogspot.it
di (Hilary Haaron Tiscione)

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