Simone Cristicchi torna in gara al Festival di Sanremo 2025 con Quando sarai piccola, un brano potente e toccante che affronta un tema universale con delicatezza e profondità. L’artista, noto per la sua capacità di coniugare musica e poesia, porta sul palco dell’Ariston una canzone che ha atteso cinque anni prima di trovare il suo momento. Ecco cosa ci ha raccontato.
Per te è importante cantare questa canzone su quel palco. Con che spirito hai deciso di partecipare a Sanremo con questo brano così potente?
Questa canzone per me è molto speciale ed è rimasta ferma per cinque anni. L’ho scritta durante la prima quarantena, ma mi avevano sconsigliato di inserirla nel disco perché sentivano che aveva qualcosa di particolare. Abbiamo atteso il momento giusto per farla ascoltare, e quel momento è arrivato grazie a Carlo Conti, che ha subito compreso il valore del brano. Quando sarai piccola parla di vita vera e vissuta: è una canzone terapeutica che, spero, possa aiutare a sensibilizzare su un tema universale. Ognuno di noi, prima o poi, affronta la fragilità di una persona cara che invecchia e torna quasi bambino. Anche se è un tema poco trattato, appartiene alla vita di tutti. Indipendentemente dal risultato finale, per me sarà una vittoria spirituale.
Prima ancora del confronto con gli altri, c’è un momento in cui ti dici: “questa è la canzone giusta”?
L’ispirazione ha qualcosa di trascendente, è un mistero per me. Può arrivare in qualsiasi momento. Scrivere questo brano non è stato facile: con argomenti così delicati si rischia di scivolare nella retorica o nel patetico. Ma non abbiamo scritto questa canzone pensando a Sanremo. È nata come uno dei tanti brani del nuovo album, ma ogni volta che la facevamo ascoltare percepivamo una forza emotiva potentissima. All’inizio ci siamo concentrati sulla tenerezza, poi abbiamo sentito la necessità di inserire anche quel senso di impotenza di fronte alla trasformazione della vita, e quindi la rabbia.
Alla serata dei duetti sarai accompagnato da Amara. Come hai scelto questa collaborazione?
Per me è stato automatico pensare a Franco Battiato e alla mia compagna di viaggio e di vita, Amara. Porteremo sul palco La cura, un brano che non è mai stato eseguito nelle serate dei duetti. È un onore e una grande responsabilità. L’unico ad averla cantata a Sanremo è stato Battiato nel 2007, l’anno in cui ho vinto il Festival. Sento un grande senso di protezione su quel palco perché avrò accanto una donna e un’artista straordinaria, una persona pura.
Come ci si confronta con l’aspettativa del pubblico?
Perché dovrei fare qualcosa che non mi rappresenta? Il mio è un colore in questo grande mosaico che Carlo Conti ha voluto creare, e lo ringrazio per aver riportato i cantautori a Sanremo. Negli ultimi anni la figura del cantautore è stata meno considerata, quindi questo Festival è una grande opportunità per far ascoltare il mio percorso musicale degli ultimi anni.
Quando parliamo di “cura”, spesso intendiamo la risoluzione di qualcosa, ma in latino significa anche attenzione e sostegno. Quanto è stato importante per te il supporto della tua compagna?
Se non ci fosse stata Erika accanto a me in un momento difficile, me la sarei vista davvero brutta. Quando sono caduto e mi sono ferito alla testa, lei era lì. Se non ci fosse stata, non so cosa sarebbe successo. Lei è il mio angelo custode, mi ha salvato la vita. Provo per lei una gratitudine immensa. La sua presenza si sente anche in questa canzone: è una penna straordinaria e tra noi è nata un’alchimia artistica che rappresenta un valore aggiunto.