Lavinia Fuksas è una delle under 30 più talentuose del momento nel mondo del design e dell’architettura. Personalità complessa, introspettiva e brillante, muove i suoi primi passi nel mondo del design lanciando la sua collezione di gioielli – Lavinia Fuksas – e ha in serbo tanto talento e creatività, che potrebbe sorprenderci intraprendendo progetti totalmente inaspettati. Si forma da economista presso l’università Bocconi di Milano, prosegue la sua istruzione studiando design tra Londra e Parigi, e continua interessandosi al mondo dell’architettura, ambiente che l’ha allevata, ispirandola personalmente e culturalmente. L’amore, la curiosità e l’inspiegabile voglia di conoscere sono il fil rouge che l’accompagna in tutti i passi artistici della sua vita.
Sei un personaggio che parla spesso e tanto di se stessa, del tuo mondo interiore, di quello che provi in ogni frangente della tua vita e, se vogliamo, anche degli stimoli emotivi che ti spingono al processo di creazione. Hai persino mostrato alla rivista AD case il tuo appartamento romano: cosa ti spinge ad essere così vera e libera di esprimere ciò che hai dentro in un mondo che, invece, è patinato?
È inevitabile per una persona sensibile. La sensibilità sta in tutto quello che crei. Credo fortemente nella gentilezza, nella grazia e nell’essere puliti, qualità che ti portano ad un modo diverso di creare. Bisogna essere sempre se stessi in un mondo che ti porta lontano dall’autenticità.
Come nasce il brand ADMATER? Cosa vogliono comunicare i tuoi gioielli?
I miei gioielli nascono quando avevo 18 anni e tanta voglia di creare. In realtà più da una frustrazione, perché al tempo facevo la Bocconi e per me l’idea di fare statistica per tutta la vita equivaleva a morire, quindi ho canalizzato la frustrazione in creatività e dopo 2-3 anni ho messo in pausa il progetto che ora ho ripreso con il nome di Lavinia Fuksas. Alla base dei miei gioielli c’è la mia idea di umanità: ogni essere umano ha dentro un qualcosa di bello e splendente, così ho deciso di incorporare nei miei gioielli delle pietre preziose che non fossero mai troppo vistose, ma anzi si celassero all’interno.
Perché hai deciso di disegnare gioielli anziché abiti?
Ho iniziato con i gioielli e poi ho divagato sull’abbigliamento, cosa che credevo fosse più mia. Ho iniziato a lavorare per la Maison Alaïa, poi per altri marchi (ho fatto anche esperienza di showroom); però quando sono finita a fare colloqui per grandi aziende come LVMH, ho capito che non faceva per me. É successo durante un colloquio, quando la persona che mi stava intervistando mi ha chiesto:“In che dipartimento vuoi stare?”. In quale dipartimento? L’ho salutata e sono andata via. Per me la moda è la creazione di un capo dall’inizio alla fine, è empatizzare con chi lo indossa. Questo è quello che mi ha insegnato il mio periodo da Alaïa. Nelle grandi aziende dove si lavora divisi in dipartimenti non si crea mai un fil rouge tra i processi produttivi: non c’è ricerca, creazione, amore. L’amore è alla base di tutto.
Il tuo periodo di formazione ti ha vista spaziare in percorsi di studio diversi tra loro che ti avrebbero aperto le porte a carriere differenti. Qual è stata la ragione delle tue scelte: indecisione adolescenziale oppure fame di conoscenza?
Il motivo è la curiosità che sta alla base di tutto. La voglia di imparare, l’inspiegabile voglia di conoscere che porta un ragazzino ad ascoltare tantissimi generi musicali diversi e a leggere un sacco di libri. Poi dopo un po’ ci si trova; io non so se mi sono ancora trovata, però ora sono contenta. Non felice, ma contenta.
Durante la quarantena hai dato vita al progetto “non ti ho detto mai”: un connubio tra la tua propensione all’introspezione e la creatività che ti contraddistingue. Ti hanno sorpresa i risvolti?
Questo progetto è un po una sintesi di ciò che sono ma anche la mia voglia di essere meno egoista. Mi sento fortunata, perché ho un palcoscenico dove poter comunicare ed esprimere ciò che sono. Molti non hanno né visibilità né coraggio, e volevo dare la possibilità alle persone di potersi esprimere liberamente. Egoisticamente vedo questa iniziativa un modo per stare bene anche io, quando sai come stanno gli altri e vivi le loro emozioni poi ti senti un po’ meglio. Sono una persona tanto emozionale: soffro tanto, amo tanto, dò tanto.
Hai studiato alla Central Saint Martins, tempio dei più grandi creativi di tutti i tempi. In che modo l’ambiente londinese ti ha stimolata?
Ho frequentato alla Central Saint Martins il mio primo corso di Textile Design, che mi ha ispirata ad un modo di creare differente. Io Londra la adoro: adoro quella scuola perché mi ha insegnato a canalizzare la mia creatività, a conoscere diversi tipi di stampe, a riconoscere le sensazioni che può darti un tessuto. Una cosa che mi ha colpita molto è la differenza culturale che vive dentro quella scuola, ad esempio ricordo che ho sentito dire da un ragazzo cinese: “voglio fare tutta la collezione in poliestere”, che si sa, per noi italiani è un tessuto stigmatizzato. La cosa stimolante è effettivamente riuscire ad indirizzare altre persone entrandoci in contatto.
Hai studiato da designer ma l’architettura è estremamente presente nella tua formazione, come si mettono insieme questi due mondi?
Sto attualmente studiando architettura a Parigi e nel mentre sto lavorando nello studio della mia famiglia. Il design e l’architettura sono naturalmente concatenati, sono complementari. Per il mio modo di pensare una è imprescindibile dall’altra, dalla forma alla sostanza, dal dettaglio alla larga scala.
Qual è la città dove ti senti più a casa e qual è invece quella dove ti senti più ispirata artisticamente?
Può sembrare una frase da new age pazza, ma io mi sento a casa in India. E non intendo la parte di India da santona. Sono particolarmente attratta dal suolo, ed è qualcosa che ho trovato solo a New York e a Milano, dove mi sento di appartenere. Roma è una fonte di creatività immensa e di bellezza. E poi, la meraviglia di poter prendere un caffè con Achille Bonito Oliva perché lo si incontra in centro è una cosa che trovi solo a Roma.
Non hai neanche trent’anni e sei un’artista riconosciuta e acclamata. Come ti ritagli una vita normale?
Non esageriamo, posso ancora camminare senza dovermi travestire. È difficile perché hai pochissima privacy, e in realtà parte tutto dal quartiere dove vivo, nel centro di Roma, dove qualsiasi persona sa tutto di te, anche chi sale in casa a prendere un caffè nel pomeriggio. Vivo di fatto da sempre in un paese. Ma poi la normalità non esiste, hai soltanto attimi di leggerezza con persone vere. La cosa che mi fa resistere è aver scelto di eliminare totalmente le persone superflue dalla mia vita e continuare a dare amore a chi conta davvero.
Ringraziamo Lavinia Fuksas per la sua gentilezza e cordialità, augurandole il meglio per tutti i suoi progetti e per il futuro!
di Martina Tronconi