“Il delitto quasi perfetto”: recensione in chiave criminologica
Dall’11 luglio al 7 settembre il PAC – Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano si tinge di giallo con la mostra “Il delitto quasi perfetto”, curata da Cristina Ricupero. Oltre 40 artisti, sia italiani che internazionali, hanno rappresentato secondo il loro stile il legame tra arte ed estetica del crimine.
L’allestimento è pensato per proporre dei puzzles intellettuali fatti di enigmi, miti e indovinelli per coinvolgere i visitatori e farli diventare protagonisti di un giallo. Sono diversi i modi scelti dagli artisti per rappresentare la duplicità del “crimine come arte” e dell’”arte come crimine”. Qualcuno si ispira al mondo letterario e cinematografico, altri alla cronaca e qualcuno gioca con gli aspetti più affascinanti, come il feticismo piacere dello spettatore e l’indole curiosa e narcisistica del detective. Il tema scelto per la mostra si presta bene per una recensione un po’ fuori dall’ordinario. Invece di raccontare il percorso espositivo da un punto di vista meramente artistico, perché non offrire uno spunto di riflessione sul versante criminologico?
Se ad aggirarsi per i corridoi è qualcuno che ha fatto della criminologia materia di studio e percorso professionale, l’attenzione viene inevitabilmente catturata da altri dettagli, talvolta sorvolando sull’interpretazione più astratta. Il tutto inizia oltrepassando il sipario di velluto di Ulla von Branderburg e ci si trova sulla destra un muro di impronte realizzate da Fabian Marti, primo punto sul quale si focalizza la severa lente di chi ha almeno una volta fatto prendere le impronte per un cartellino segnaletico.
Mario Milizia propone una riflessione sulla miseria del vero e la magnificenza del falso, riproducendo immagini di cronaca giudiziaria riferite a ritrovamenti e vendite illegali di reperti d’arte. Interessante il proposito, ma in sede di sopralluogo giudiziario l’artista si sarebbe meritato una tirata d’orecchie per le imprecisioni tecniche. Sparsi per le sale vi sono oggetti come bagagli incustoditi, guanti neri e cesti con manette e altri oggetti lasciati per intrigare i visitatori, ma decisamente più intriganti sono gli articoli prestati dal Kriminalmuseum di Gaz che fanno ripercorrere l’evoluzione della criminologia e delle scienze forensi.
E in pochi avrebbero resistito alla voglia di sottoporre qualcuno al poligrafo proposto da Noam Toran. L’artista messicana Teresa Margolles porta l’attenzione su temi come la funzione della violenza nella società, lo sfruttamento e la diseguaglianza socioeconomica. Per farlo esibisce in una teca un luccicante bracciale composto da schegge di vetro provenienti dal parabrezza in frantumi, ritrovato in Messico sulla scena di un crimine legato alla droga, mentre al secondo piano raccoglie armi utilizzate dai trafficanti di droga sulle loro vittime. Coinvolgente l’idea – venuta a Gardar Eide Einarsson – di spargere per lo spazio espositivo foto che mostrano quanto sia sorprendentemente facile nascondere oggetti di contrabbando in luoghi pubblici.
Anche il collettivo francese Claire Fontaine punta sulla semplicità d’effetto esponendo una serie di oggetti a basso costo utilizzati per aprire diversi tipi di porte, aggiungendo un video che spiega come aprire una serratura. Dora Garcìa crea il vero momento di interazione con il pubblico, mettendo in mostra un libro dal titolo che lascia poco spazio all’interpretazione: Steal this book. Chissà se qualcuno ha raccolto l’invito dal sapore di sfida.
Quello che resta una volta oltrepassato nuovamente il sipario è un po’ di amaro in bocca per aver visto esposte la rappresentazione, sebbene in chiave artistica, di diversi luoghi comuni ormai tenacemente radicati nell’immaginario collettivo. Quello che spesso intriga del crimine sono i risvolti macabri, perversi e truculenti. La realtà è che di primo acchito possono suscitare una reazione d’impatto, quello che davvero dovrebbe colpire e far pensare è come tutti gli aspetti che si sono voluti mettere in mostra non sono da ricondurre a un telefilm o alle pagine di un libro, bensì alla quotidianità. Difficile non fermarsi a riflettere dopo aver visto l’imponente installazione dell’italiano Luca Vitone dedicata a un nebbioso capitolo della storia della nostra democrazia, la loggia P2.
Altrettanto crudi nella loro solo apparente elementarità sono le foto Corpi di reato (di Tommaso Bonaventura, Alessandro Imbriaco e Fabio Severo). Sette scatti raccontano stralci della difficile lotta contro la criminalità organizzata.
http://www.pacmilano.it/exhibitions/il-delitto-quasi-perfetto/
di (Fabiana Mazzariello)