Una Festa per raccontare il cinema. Sembra sempre più questa la mission della Festa del Cinema di Roma, la cui 12esima edizione si è conclusa il 5 novembre. Una kermesse lunga (11 giorni in tutto) e anche quest’anno densissima di contenuti, in cui emerge prorompente la voglia di avvicinare il pubblico ai protagonisti e alle storie attenuando il filtro di premi e competizioni.
Vero è che la Festa diretta da Antonio Monda alcuni premi li assegna, ma qui prendono la forma di onori, di celebrazioni dell’opera in sé più che di trionfo su altri. Ecco dunque che Borg McEnroe di Janus Metz Pedersen vince il Premio del Pubblico BNL e riporta alla ribalta il genere del dramma sportivo, complici i due protagonisti Sverrir Gudnason e Shia LaBeouf (rispettivamente i due mostri sacri del tennis Björn Borg e John McEnroe) in stato di grazia.
E se di mostri sacri si parla, impossibile non nominare l’altro premio assegnato dalla Festa ad un uomo che ha passato il confine della leggenda: David Lynch, premiato alla carriera, il quale ha dato alla platea della Sala Petrassi una lezione di ottimismo che nessuno forse si sarebbe aspettato dal regista di capolavori cupi come Eraserhead. “Per me le persone dovrebbero semplicemente essere felici, dobbiamo godere del ‘fare’ e avere buoni rapporti con gli altri. Il mondo dovrebbe apprezzare le cose belle, a cominciare dal buon cibo e dal buon caffè italiani”, ha chiosato il regista statunitense.
Sembra proprio che la chiave di volta della Festa siano i suoi Incontri Ravvicinati, sezione pensata per dialogare con chi il cinema lo vive e lo fa e che spesso si addentra ben oltre la mera promozione dell’ultima pellicola. Accade così che Gigi Proietti, presente alla Festa con l’horror dei Manetti Bros In un giorno la fine, ricordi i suoi esordi e il suo non volersi conformare agli stereotipi della commedia erotica all’italiana. Oppure che Ian McKellen, protagonista e oggetto del documentario McKellen: Playing the Part di Joe Stephenson, racconti che fare coming out lo ha reso migliore sia nella vita che nella recitazione. O ancora che Jake Gyllenhaal – in odore di Oscar con Stronger, nel quale interpreta il maratoneta Jeff Bauman, sopravvissuto ma mutilato alle gambe dopo la strage di Boston – dichiari che tutta la sua carriera da attore la deve a La Strada di Fellini.
Sono tante le storie e sono tanti i volti famosi, vecchi e nuovi, che si sono avvicendati sul red carpet della Festa. Da Vanessa Redgrave col suo documentario Sea Sorrow sull’emergenza rifugiati ai nostrani The Jackal, che dagli sketch di YouTube si lanciano sulla fantascienza da grande schermo con Addio fottuti musi verdi; da Rosamund Pike, che ha inaugurato questa edizione con il western Hostiles di Scott Cooper, al cast tutto tricolore – Rocco Papaleo, Silvio Muccino, Sabrina Ferilli, Vittoria Puccini – di The Place di Paolo Genovese, che invece la Festa l’ha chiusa. Un turbinio di temi e un’estrema variegatura di generi che rispecchiano la forza più grande del Cinema: c’è spazio per tutti, l’importante è raccontare.
di Martina Faralli