Se è vero, secondo quanto sostengono i veterani, che la letteratura italiana è morta dopo Calvino, allora vale la pena di richiamare l’attenzione su qualcosa di fresco e attuale, per comprendere che forse non è proprio così.
Marco Missiroli, classe 1980, è un autore che ha già riscosso notevoli successi, sin dalle prime pubblicazioni dei suoi scritti risalenti al 2005. Del suo ultimo libro se ne parla da tutta l’estate ormai, seppure la pubblicazione risalga al mese di marzo, con pareri quasi unanimi circa la bellezza e la semplicità, lasciando nel lettore una sorta di stupore privo di imbarazzo, nonostante i contenuti pieni e il modo di esprimersi dell’autore che non si risparmia sui dettagli.
La copertina è piuttosto eloquente. Il lettore che per puro caso vi si imbatterà entrando in una libreria, non potrà fare a meno di notare che, man mano che si avvicina, quel buco nero in lontananza che sembra quasi raffigurare arte contemporanea, altro non sono che un paio di natiche, tenute strette dal soggetto fotografato.
Il libro narra le vicissitudini di un dodicenne, Libero, il cui profilo si snoda attraverso la storia dei genitori che si stanno separando, con tutte le angosce, le inquietudini e le curiosità che un adolescente possiede a quell’età. Una normale famiglia, che si presenta al lettore con dei semplici ma sinceri cappelletti, in uno scenario che tenderà al contrario a stravolgere il senso di famiglia come luogo di protezione.
Tanta fretta di crescere genera storie, ma nel viverle ci si sente frastornati e alla continua ricerca di un equilibrio, mentre il nostro essere è in continua formazione.
Come lo stesso Calvino ammise un tempo: “Alla fine uno si sente incompleto ed è soltanto giovane.”
di Letizia Turrà