Verona. La scuola è finita, l’estate è alle porte. Sullo sfondo della città dell’amore, tra piazza Brà e il ponte di Castel Vecchio, si svolge il dramma di Selvaggia e Giovanni. Anzi Johnny, perché così piace a lei.
Un amore proibito, come quello di Romeo e Giulietta, unisce questi due giovani, ma forse ancora più scandaloso: loro, infatti, non appartengono a due famiglie che si odiano, ma alla stessa famiglia. Gemelli separati da piccoli, non possono fare a meno di essere travolti da una folle passione quando si rincontrano. Nonostante sia consapevole di andare contro ogni regola sociale, Giovanni non può non amare sua sorella, questa meravigliosa creatura bella come Psiche, schiva come Dafne e capricciosa come Venere. E lei, diciottenne cresciuta troppo in fretta a causa di una madre assente e sempre immersa nel lavoro, fa di lui la famiglia che non ha mai avuto. Insieme costruiscono il loro piccolo angolo di paradiso, un mondo separato in cui i loro legami parentali non esistono e il loro sentimento può manifestarsi in tutta la sua intensità.
Accostandoci a questo libro veniamo investiti da un senso di straniamento causato dall’inusuale punto di vista assunto dal narratore e dallo stravagante linguaggio dagli echi danteschi usato dall’autrice, ma in seguito la storia ci coinvolge e ci porta a provare compassione per questi due sfortunati amanti e mai, nemmeno per un attimo, quell’incomprensione che, nella realtà, ci sembrerebbe naturale.
E in questo si cela l’abilità di Gaia Coltorti.
“Le affinità alchemiche”
di Gaia Coltorti
ed. Mondadori – collana: Scrittori italiani e stranieri
15,00 euro
(di Martina Carnovale)
L’ennesimo romanzetto adolescenziale semplicemente patetico, pubblicizzato con tanto di tromboni e nacchere. La Mondadori ha abilmente sfruttato la storia mediocre ma commerciale (perché scandalosa e maliziosa) di una adolescente, per vendere ancora una volta una manciata di libri allo scopo di assecondare la malizia e il guardonismo tipici del pubblico giovane di oggi. Se 50 anni fa storie di tal calibro sarebbero state relegate ai fotoromanzi e ai musicarelli, oggi ahimè certi temi sono arrivati in libreria. Se desiderate leggere qualcosa di patetico, a momenti parodistico, questo è uno di quei romanzi irritanti fortunatamente rari. Libro logorroico ed altisonante, con uno stile lezioso ed ostentato, appesantito ed infiocchettato. Una storiella tediosa e pedestre, agghindata con tono, anzi contaminazioni letterarie e rimaneggiata dagli abili dottori del marketing di Mondadaori per soddisfare un fragile pubblico adolescente autoreferenziale e scopofilo.
L’editore olandese delle “Affinità alchemiche”, nel cui catalogo compaiono narratori delle ultime generazioni come Ammaniti, del libro di Gaia scrive: “Fenomenale romanzo d’esordio di una giovane scrittrice italiana, ‘Chemische affiniteiten’ narra la nascita dell’amore fra un fratello e una sorella. Con questo romanzo, Gaia Coltorti tocca non solo un tema classicamente letterario come avviene in ‘Lolita’ – l’amore proibito – ma scrive una tragedia moderna che somiglia molto a ‘Romeo e Julia’ di Shakespeare, consegnandoci un libro per gli amanti della letteratura classica, ma anche per gli appassionati di scrittori italiani contemporanei.”
Sì, è proprio vero, Gaia Coltorti ha posto in campo un’interpretazione tutta contemporanea e nel contempo mirabilmente tardo-adolescenziale di Shakespeare. Senza spadaccini né cavalli, ovvio. Però con dentro tutto il Freud che doveva esserci. O tutto il Girard, certo. Se preferite.
Poi, da qualche parte – però non su Internet, o non credo – un giorno ho trovato questa comunicazione di Vicki Satlow, agente letterario di Gaia. Satlow scriveva: “Provate a fare un giro in libreria a gennaio. Uscirà la nostra nuova scoperta, Gaia Coltorti, vent’anni, che pubblicherà per Mondadori Le affinità alchemiche. L’ha scritto a diciassette anni. Ho iniziato a leggerlo alle sei di sera e l’ho chiuso alle tre di notte, senza riuscire a fermarmi. Non ho nemmeno cenato. Il giorno dopo si è fermata tutta l’agenzia. Avevamo trovato una fuoriclasse. E non lasciatevi ingannare dall’età, il romanzo è semplicemente geniale.” Così ho prestato ascolto. E be’, questo agente letterario sa di cosa parla, e dice la verità, e dice le cose esattamente come stanno. Gaia è straordinaria. Persino nel modo in cui si è presentata alle lettrici di Vanity Fair come me: immersa nella sontuosità del dimesso. Qualcosa che puoi permetterti solo se sei una grande.
Mi ha fatto molto piacere leggere questo!
Questo rimanzo straordinario e destinato a resistere al tempo, è modulato in modo impeccabile e racconta le dinamiche del desiderio come solo i talenti eccezionali possono fare. La giovane Gaia Coltori ha condotto in qua per noi qualcosa di sontuoso e inaspettato.
A proposito di questo straordinario romanzo nato in provincia, e intercettato da un fruttuoso e accuratissimo monitoraggio di scritture Under40, ossia il Progetto Pagine Nuove, a cui personalmente ho partecipato, varrà forse la pena ricordare che Gaia è risultata la più votata, nella sezione “romanzi”, da una nutrita giuria di esperti alla cui testa c’era il mitico Angelo Guglielmi: a escludere in partenza, intendo, l’idea che Le affinità alchemiche si sia segnalato o sia stato preferito per motivazioni di tipo commerciale. Se poi, come pure mi auguro, Le affinità riuscirà a trovare tutti i lettori che merita grazie all’impegno della casa editrice Mondadori, ciò potrà solo testimoniare che il romanzesco di qualità può competere e ancora oggi in qualche caso vincere, rispetto alla cattiva scrittura normalmente edita a livello internazionale. Detto altrimenti: l’eventuale marketing sarebbe, qui, al servizio di un libro fin dall’inizio più unico che raro.
Com’è noto, nel teatro elisabettiano – quello di Shakespeare e del più tardo John Ford – gli attori affrontano temi di tipo del tutto nuovo, dal cannibalismo all’incesto, dal sesso alla follia, tramite testi in cui i toni tragici e comici sono sistematicamente compresenti, secondo un’intonazione, (e intenzione), che il romanzo di Gaia ha il merito, e non certo il limite, di abitare e gestire con aurea grazia. Così, di colpo mi torna in mente il cameo degli amici di Giovanni, Nautilus e Paranoia, che trascorreranno l’estate in un campeggio ai piedi dei Carpazi, praticamente sotto casa di Dracula!; e subito, penso alla sfrontata (parodica) levità del bagno di Selvaggia dentro quella stessa fontana romana in cui, cinquant’anni prima, aveva navigato Anita Ekberg guardata dalla pietas tormentata di Mastroianni.
L’ironico, paradossale destino incontrato fin ora da questo romanzo di sorprendente valore, fa pensare a un pubblico di ragazzi che nel 1955 segua, in tv, le “Avventure di Rin Tin Tin” – da noi le repliche andavano ancora nel 2008!; comunque, a questo pubblico di ragazzi che seguono tutti contenti le imprese dell’orfanello Rusty e il suo cane amico, viene d’improvviso mostrato un vero film come “Gioventù bruciata” (1955) – l’American Film Institute lo colloca, oggi, al cinquantanovesimo posto della classifica dei migliori cento film statunitensi d’ogni tempo – e subito i nostri ràgaz si sbandano e perdono l’orientamento e s’incazzano a morte perché manca il cane: “Come mai Rin Tin Tin è sparito? Eh, brutti stronzi?”
Mutatis mutandis, i lettori più giovani di “Le affinità alchemiche” non stanno facendo proprio adesso, “on web”, esattamente questo?
Essendo scritto da una donna, anche se giovanissima, continua a stupirmi il fatto che Selvaggia interpreti nel romanzo un ruolo tanto negativo, alla fine, e sia costretta dall’autrice a prendere su di sé il fardello delle decisioni ultime e definitive in cui coinvolgere il più passivo Giovanni. Non è un tantino maschilista, da parte dell’autrice, prendere così tanto le difese del fratello? Questa è la mia critica principale. Critiche a parte, l’ho finito di leggere in dodici ore, ma se durava altre duecento pagine le avrei divorate e sarei stata più contenta. Mai letto niente di simile. E dire che qualcosa ho letto.
C’è molto spesso qualcosa, nel “look” e nelle atmosfere di parecchi romanzi tradizionali, che consente al lettore di porsi a una certa distanza dai personaggi e guardarli come fossero personaggi su un palco.
Personalmente mi sembra che all’autrice delle Affinità alchemiche interessi, invece, trasmettere al lettore quanta più vicinanza e coinvolgimento possibili, utilizzando una lingua strepitosa. Questa è una storia bellissima che, come un maëlstrom, ti tiene legata per cerchi concentrici sempre più veloci alle sue pagine fino allo straziante finale. Però è tremendo che questi due giovani debbano pagare ancora oggi, in una società che si pretende evoluta, un prezzo tanto grande.
Di grazia cosa c’entra la società evoluta? L’incesto è incesto. Ora vogliamo rendere legali anche i matrimoni tra fratelli? -.-
Su “Libero” del 15 gennaio 2013, il recensore Paolo Bianchi – che ovviamente non conosco – solleva un’obiezione a proposito della “verosimiglianza” in “Le affinità alchemiche: “Cominciamo a mettere un piede sul terreno della verosimiglianza” scrive infatti. “Ma vi sembra mai possibile che due sposi separati si dividano un gemello a testa e non lifacciano praticamente mai incontrare per diciassette anni, pur risiedendo in due grandi città del Norditalia facilmente collegate tra loro? E che poi, riunita la famiglia sotto lo stesso tetto, i due genitori, notaio e poliziotta in carriera, non si accorgano per almeno sei mesi che i loro rampolli in pieno uragano ormonale gli fornicano come allegri coniglietti praticamente sotto il naso?”
Lì per lì non ho avuto nulla da eccepire, la critica mi appariva ben centrata.
Ma quelche giorno dopo sono tornata a Shakespeare, al “Romeo e Giulietta”, e mi sono chiesta: un uomo di chiesa a conoscenza dei rancori che dividono Montecchi e Capuleti, sposa in segreto due minorenni e si propone di rimediare al disastro incombente servendosi di un farmaco che procura la morte apparente ma poi va incontro a dei problemi con la “posta” e non riesce ad avvertire Romeo dello stratagemma in corso? È verosimile? No. Neanche un po’. E infatti, come potrà mai essere, questo, il punto?
Insopportabili sdolcinerie e battute argute, sognanti tenerezze e risate giacintine scambiando baci in un volo d’uccelletti rapidissimi nel giardino del padre: oh, persino le bizzarrie (e le incongruenze, persino!) non devono disorientarci – qui – sapendo benissimo che il primo a predisporne ovunque era proprio Shakespeare!
Da coloro che non la capiscono, la lingua-cover di cui si sostanzia “Le affinità” appare banalmente appesantita d’ornamenti, un cicaleccio retorico o un “supplemento” che può essere eliminato dal romanzo senza nessun danno. Ma è vero il contrario. Poiché senza quella lingua, il romanzo svanirebbe. Viceversa, se guardiamo minimamente sul serio alla strordinaria cover-elisabettianizzante realizzata dalla giovane Coltorti, possiamo perdonarle un certo numero di scemenze colpevolmente “buttate via”, e salutare ammirati l’ingresso di una nuova stella nel panorama molto spesso qualsiasi e linguisticamente esangue della nuova (neo-piatta) narrativa italiana.
Tutti gli altri: sdilinquirsi per “Proibito” di T. Suzama, e darci sotto con la narrativa giustamente preferita, buona e condesata.