Pacifico, all’anagrafe Gino De Crescenzo, è un artista poliedrico: con riconoscimenti di grande prestigio e cinque album all’attivo – l’ultimo, dal titolo “Una Voce non basta”, pubblicato da Sugar e uscito lo scorso 27 marzo, è un cantautore stimato e un autore richiestissimo da nomi autorevoli del mondo musicale italiano (Nannini, Celentano, Zucchero, Vanoni, Morandi, Venditti, Bersani per citarne alcuni). Apprezzato anche a teatro in uno spettacolo da lui scritto, interpretato e diretto, ottenendo ottimi giudizi dalla critica, si è calato recentemente nei panni di conduttore radiofonico.
Questo per lei è un periodo d’oro, accompagnato da tante novità e cambiamenti sul piano professionale e personale. Ci racconta un po’ come sono andate le cose, come questo progetto ha preso progressivamente forma giorno dopo giorno, notte dopo notte?
“Ho cominciato con grande fatica, passavo una fase dolorosa e la mia voce proprio non arrivava a cantare quello che scrivevo. Era come se dentro tutto fosse netto, anche impetuoso, ma nel percorso dalle viscere, dove si scrive, alla bocca questa forza si attenuasse. Ricordo grande stanchezza e smarrimento. In realtà io ho un rapporto maggiormente pacificato con la mia voce. In diversi casi mi piace, anzi la preferisco ad alcune voci anche importanti che hanno interpretato cose scritte da me. Lo dico senza spavalderia, anzi. E’ uno strumento il mio espressivo e limitato, sicuramente se ho un dono devo cercarlo nella scrittura o nella composizione. Ma questa voce, come quella di molti cantautori, è spesso la più adatta per dire certe cose; le voci sono spesso così belle e capaci di acrobazie da restare incantate nell’ascoltarsi, così spesso sento timbri e voci..che non cantano parole, se ne servono per piazzare acuti strabilianti o le vivono come ingombro. In alcuni casi è anche piacevole, spesso si perde qualcosa. Però ho maturato molta esperienza, e il mio ego è di forma non spigolosa: riconosco il peso di alcune voci e so benissimo che certe canzoni diventano grandi solo grazie a loro, alcuni miei spunti che mi parevano intimi sono diventati enormi grazie alla forza di quelle voci. Quindi, avendo una doppia possibilità, canto per me cose più “piccole” e sentite, la voce le allontana poco e le tiene più vicine a chi le ha scritte, al momento della scrittura. Altre invece le affido ad altri che le getteranno per aria, le spargeranno su tutti, scalciandole fuori da balconi e finestre. Questo disco è l’ esatta rappresentazione di questa mia visione di me e degli altri come artisti”.
Questo disco corale, senza precedenti nella storia della discografia italiana essendo composto completamente da duetti inediti, presenta 14 pezzi che incarnano perfettamente lo stile raffinato ed elegante che contraddistingue i suoi album precedenti, ma diventa l’occasione per sperimentare anche linguaggi musicali diversi dal suo. Ventuno artisti intervenuti, 21 storie con cui si è dovuto confrontare. Un grande impegno, ma sicuramente un’avventura importante, ricca e generosa di emozioni. Che cosa le ha lasciato quest’esperienza?
“Molte tracce emotive, regali sparsi e perduranti. L’entusiasmo delle adesioni, gli incoraggiamenti, la concentrazione e l’impegno di tutti, una dote di fiducia che continua ad accompagnarmi. Inoltre un’esperienza produttiva e umana preziosa, ho approfondito meccanismi di realizzazione che prima delegavo, sono stato costretto dalla modalità particolare del disco a interessarmi di ogni aspetto, oltre a tenere e a monitorare i rapporti personali, verificare che tutti si sentissero a loro agio e nella giusta luce. Raramente ho provato tanto entusiasmo nella realizzazione di un disco.
Un album parigino per nascita, italiano per cuore, europeo per contaminazione. Parigi, città in cui vive da qualche tempo e dalle magiche atmosfere, in che modo ha influenzato questo lavoro?
“E’ stato il fondale di ogni canzone, tutti i brani sono stati scritti lì. E’ stata un’influenza dapprima discreta, non percepita. Poi, a risentire i pezzi, ricordo esattamente le vie e i luoghi in cui passeggiavo ore riascoltando il materiale che avevo appena inciso, metropolitane prese a caso per allontanarmi da una rotta prestabilita, sempre le cuffie in testa, la mia musica che sonorizzava la città. E’ stato un primo passo, io e quello che avevo dentro, e intorno Parigi che mi circondava e mi guidava. Ora vorrei fare un passo ulteriore, misurarmi maggiormente con artisti del posto, sto cercando contatti, spero in una contaminazione ancora maggiore”.
2001 -2012. Pur avendo fin da ragazzo manifestato una profonda passione per la musica, poco più di un decennio è passato dal suo esordio come cantautore, dal suo “16 aprile 2005”, data simbolica per Agostino Sella, protagonista del suo reading teatrale. Quali sono gli episodi, incontri, eventi che in modo incisivo hanno cambiato, o hanno contribuito a modificare, il corso della sua vita?
“Riccardo Vitanza, Paolo Iafelice, Titti Santini, Adele Di Palma, Enrico Pighi, Caterina Caselli. Queste persone in epoche diverse, o ancora resistendo, mi hanno incoraggiato, hanno creduto in me mettendo testa e denaro, hanno fatto diventare un mio desiderio incerto e vago una concreta possibilità. Prima ancora Luca Gemma e i Rossomaltese, palestra indimenticabile, 8 fratellini stipati in un furgone, miniorchestra dedita e talentuosa. Roberta Torre, che mi chiamò sconosciuto a scrivere per il suo film, Sud Side Stori, e io che dal tema di italiano della prova di maturità non avevo mai più scritto, nemmeno gli sms, che non esistevano. Samuele Bersani, che mi ha chiamato, come credo faccia ancora ora se qualche artista lo incuriosisce, per dirmi quanto amava “Le mie parole”, un mio brano, all’epoca inciso solo in maniera casalinga. All’origine di tutto credo mia madre, il suo desiderio di elevazione sociale per interposta persona, e quindi un pianoforte in casa che ho ancora, pagato per anni a rate e a lungo maledetto perché mi ha allontanato da una carriera più comprensibile e prevedibile. Questo il mio albero genealogico musicale”.
Quante cose si fanno sapendo che sono uno sbaglio, quante cose si fanno sapendo di farsi del male” recita la canzone “Boxe a Milano”, da cui è tratto il titolo del suo spettacolo teatrale. Leggendo i suoi testi, si ha a volte l’impressione che le sue scelte stilistiche e linguistiche siano sempre studiate minuziosamente. Eppure, pur essendo amatissimo dalla critica, non sempre le sue canzoni hanno riscosso l’approvazione del grande pubblico. Crede di avere fatto nel suo percorso artistico sbagli o scelte fuorvianti?
“Credo di aver gestito male l’opportunità sanremese, arrivata troppo presto, avevo 40 anni suonati ma come cantante ero un principiante, avevo sentito la mia voce cantare solo due anni prima. Altri errori non credo, se non quello di trovare la mia strada molto tardi, quando per i meccanismi necessari alla popolarità o sei già affermato o è difficile inserirsi. Ho imparato osservando nella mia qualità di autore, di gregario attento, che ci sono personalità comunicative e d’impatto, e interrogarsi sul perché arrivino a più persone di altre è tempo perso, è un miscuglio inesplicabile di tono della voce, battuta pronta, sfrontatezza, fisicità, il risultato finale si intende ma la ricetta non si decifra. Altri, come me, hanno tempi lunghi e avvicinano pochi alla volta. Del resto io già ad una cena rumorosa servo e partecipo poco, sono più adatto a conversazioni tra pochi e attenti: queste cose te le ritrovi quando approcci il palco”.
Scrivendo per i grandi della musica italiana, ha dichiarato in una recente intervista che trova molto più difficile confezionare, per usare una metafora sartoriale che spesso le viene attribuita, testi che calzino perfettamente su personalità diverse dalla sua, piuttosto che essere stilista per se stesso. Come riesce lei a capire quando un testo è perfettamente centrato, senza più bisogno di modifiche, rammendi o rattoppi?
“No, in realtà mi sono espresso male. E’ il contrario, ormai trovo più complesso scrivere per me, e questo disco ne è piena rappresentazione. Mi e’ richiesto uno sforzo di sincerità che a volte mi pesa, quello che a me stesso appare nuovo e sorprendente e’ sempre più difficile da trovare. Gli altri invece di loro ti portano suggestioni e stimoli.
Le sue prossime apparizioni? Possiamo avere qualche anticipazione?
“Concerti, pochi e belli, li vorrei così. Una band numerosa e colorata, piena di sorprese. Apparizioni in librerie e piccoli spazi da solo o in formazione ridotta, per raccontare le canzoni e con quelle si spera qualcos’altro. Forse ancora Boxe a Milano a teatro, devo vedere se me la sento. Canzoni per altri, sono al lavoro con Gianna Nannini e altri artisti. Forse un altro disco a breve, ho molti pezzi rimasti dalla scrittura di “Una voce non basta”, alcuni buoni, vedremo”.
Elena Barbati