Dopo il grande successo del “L’ Ifigenia in Aulide” per ERT, Marco Plini debutta a Milano presentando una commedia surreale tratta da “ La serra” del premio Nobel Harold Pinter.
La produzione di Pinter, eroe della parola e del silenzio, è quasi interamente un dar voce a un universo di barboni, reietti, uomini infermi. L’obiettivo è unico: presentare il genere umano di cui lo spettatore fa parte. L’opera mostra il tentativo di andare oltre i limiti del linguaggio che non sono mai al di là, ma al di qua: in uno scavo della lingua senza eguali. L’obiettivo della macchina da presa diviene occhio della coscienza che vede vivere e che coglie la realtà nella finzione scenica. La sostanza narrativa è sciolta dando luogo ad una concitata commedia dalla struttura astratta: tra il metafisico e il surreale. Lo spettatore è spiazzato: la vicenda si svolge in un non-luogo di cui i personaggi offrono indicazioni contrastanti. A caratterizzare l’ambiente è la vastità in cui i pazienti sono privati della propria soggettività, nominati in ordine numerico. Pinter guarda l’uomo nella sua struttura esistenziale, nella spinta verso una felicità utilitaristica e nella controspinta che patisce per l’interferenza dei suoi simili e le irruzioni della propria coscienza dominatrice. Nell’urto di queste tendenze è svelato il dramma dell’umanità divisa tra l’aspirazione al potere e la sottomissione alla dura necessità: il potente viene sopraffatto dal sistema di cui egli stesso è artefice. La realtà non si esaurisce in dettagli sensibili, l’irrazionale resterà sempre una delle sue risorse preferite. La sua è l’arte di scrivere per sottrazione. La violenza non viene palesata in inutili spargimenti di sangue, lo spettatore può solo immaginare cosa ci sia dietro ad un buio pesto che risuona di lamenti.
di Giovanna Riccomi