Qui non muore nessuno è il mantra che Gianni Amelio ripete nel suo ultimo film, Campo di battaglia, un’opera che si distacca nettamente dalla realtà per abbracciare un’utopia improbabile, quella di un conflitto senza morti. Ma nella nostra realtà è possibile esista una guerra senza vittime? La risposta è nota a tutti. Amelio, con il suo sguardo lucido e disincantato, si fa portatore di un desiderio impossibile, creando un film che non narra una guerra, ma riflette sulla guerra stessa.
Una narrazione che va oltre il conflitto
Il titolo del film, Campo di battaglia, è emblematico e ricorda i versi di Ungaretti, evocando una guerra tragica e interminabile. Tuttavia, Amelio ambienta la sua storia non sul campo di battaglia, ma in un ospedale militare del Friuli nel 1948, dove i soldati feriti sono curati con l’obiettivo di ritornare al fronte. L’ufficiale medico Stefano, il cui odio per gli autolesionisti è palpabile, è ossessionato dal controllo e dalla punizione di coloro che si feriscono volontariamente. Tuttavia, nelle corsie dell’ospedale, alcuni feriti iniziano a peggiorare inspiegabilmente. È chiaro che qualcuno manipola i loro sintomi per evitare che ritornino al fronte, cercando di salvare giovani soldati da una morte certa.
In parallelo, l’influenza spagnola si diffonde con virulenza tra militari e civili, aggiungendo un ulteriore strato di terrore alla trama. Qui, Amelio scava a fondo, interrogandosi sul mistero insito in ogni forma di violenza e rappresentando la malattia incurabile come una nuova guerra. L’ospedale e i suoi corridoi diventano un campo di battaglia, un luogo dove le ambizioni dei generali e la realtà del dolore si scontrano.
Uno stile e una forma distintivi
Amelio va controcorrente rispetto ai film di guerra tradizionali, scegliendo di raccontare la guerra attraverso i personaggi piuttosto che attraverso le esplosioni e i conflitti armati. Il suo approccio è rigido e preciso, con una macchina da presa che si muove con attenzione per catturare l’orrore e l’umanità dei protagonisti. L’uso della macchina a mano conferisce al film una sensazione di immediata vicinanza, come se l’osservatore fosse un testimone diretto delle vicende.
Una delle sequenze più memorabili è l’inizio, dove un uomo in divisa rovista tra i cadaveri per derubarli, mentre una mano emergente chiede aiuto in un momento di disperazione. Questo stacco visivo tra la morte e la speranza è emblematico della narrativa di Amelio, che gioca con opposizioni e sorprese a ogni sequenza, mantenendo una tensione costante.
Un conflitto di sguardi ed emozioni
Il film si distingue anche per la sua esplorazione dei temi della genitorialità perduta, dell’amicizia e dell’amore non dichiarato. Alessandro Borghi e Gabriel Montesi offrono interpretazioni incisive, conferendo ai loro personaggi una dimensione profonda e complessa. Montesi, in particolare, brilla nel ruolo del medico patriota, mentre Borghi interpreta il dottorino più empatico, entrambi immersi in un campo di battaglia che è tanto metaforico quanto reale.
La loro interazione, purtroppo, viene tralasciata dalla trama principale, che si perde nel racconto di malattie, famiglie e confronti personali. Il film, sebbene affascinante nella sua rappresentazione di un tempo e un luogo specifico, finisce per diluirsi in una narrazione che non riesce completamente a esprimere il potenziale emotivo e tematico.
Un film di contrasti e potenzialità inesplorate
Campo di battaglia si presenta come una riflessione profonda e ambiziosa sulla guerra e sulla malattia, un film che non teme di esplorare temi complessi attraverso una lente personale e intima. Tuttavia, nonostante la sua maestria stilistica e le interpretazioni eccezionali, il film si perde in una trama che non riesce a capitalizzare pienamente le sue intuizioni iniziali. Rimane un’opera che invita alla riflessione, ma che potrebbe lasciare l’audience con un senso di incompiuto.
In concorso alla Mostra di Venezia, Campo di battaglia è un esempio di cinema che sfida le convenzioni e cerca di andare oltre il conflitto superficiale per affrontare le sue radici più profonde e inquietanti. Un film che, sebbene ambizioso, dimostra la forza e la fragilità del suo messaggio attraverso una narrazione che, purtroppo, a volte non riesce a mantenere il passo con le sue ambizioni.