Una canzone per mio padre, il film senza edulcoranti dei Fratelli Erwin
Nessun tipo di edulcorazione per film in uscita nelle sale italiane il 7 Novembre 2019 e diretto dai Fratelli Erwin, Una canzone per mio padre. Strizza l’occhio ai piaceri della riflessione filosofica e al contempo esce dalle aule accademiche per chiamare al ragionamento razionale, e non, le masse ponendo un implicito ma doveroso interrogativo: cos’è la violenza?
Trasposizione cinematografica sulla cruda infanzia del cantante americano Bart Millard, il film pone l’accento sulle questioni abbastanza ordinarie e frequenti delle dipendenze e degli abusi, mette in mostra le fragilità, analizza i risvolti psicologici e affettivo-esistenziali raccontando come il percorso di un bambino abusato possa muoversi, partendo dai tratti pesanti della violenza, verso un percorso interiore sfociato nella più leggera scrittura di testi e musiche.
La violenza come furto di felicità
La scelta narrativa resta fedele alle vicissitudini del cantante senza mai cedere alla tentazione di edulcorare, insiste unicamente sulle ricadute negative dei comportamenti illeciti e degli eccessi. Filo conduttore per tutta la durata del racconto è la violenza, la quale di per sé consiste in un tacito furto, paradossalmente autorizzato dal derubato nel momento stesso in cui quest’ultimo pone fiducia nelle persone; per un banale errore di valutazione inaspettatamente derubati di felicità.
Da lì, il susseguirsi di scene dove vengono raccontati i sensi di colpa, l’esigenza di rimuovere, il ricorrente tema del viaggio, lo spostamento come mezzo per la ricerca di una più riappacificata interiorità: in questo caso un nomadismo creativo attraverso cui il protagonista evade dalla realtà opprimente. Gli spunti riflessivi sono diversi, nella misura in cui gli interrogativi suscitati si muovono su largo spettro: dove arriva il lecito? Qual è il limite? La felicità è un atto genitoriale dovuto oppure no? Si potrebbe continuare all’infinito.
Vengono cinematograficamente definiti i tratti di un uomo che rifugge dalla violenza come qualcosa che dovrebbe esser stato debellato molti anni fa, alla stregua di una malattia ormai curata, per mostrare infine che così non è. Possibile che la violenza sia intrinseca nella natura umana? E soprattutto, si può perdonare?
L’amore come risposta
Al fine di provare a rispondere, viene naturale affidarsi al pensiero di Marc Sautet, filosofo francese che propende per una risposta affermativa e positiva sul fatto che “sì, una violenza esiste, ma insieme ad essa il suo altrettanto forte contrario (…) La violenza è universale, la si ritrova in tutta la storia dell’umanità, che sia nascosta al centro dell’attività solare, che sia all’origine del nostro sistema galattico e perfino all’origine del cosmo sotto il nome di big bang, tutto ciò lo posso concedere. Ma che la violenza sia dappertutto non significa che sia sempre. Perché il cosmo divenga cosmo, la violenza deve cedere il passo al suo contrario: kósmos, in greco, significa «ordine»,ossia uscita dal cháos”.
Il riferimento di Sautet, in questo specifico caso, è al Capitalismo Occidentale, al suo caos e al suo opposto (l’ordine), ma finisce per descrivere la violenza come qualcosa di fisico e si ritrova costretto nel rapportarsi più all’umano che all’economico. Su questa via, egli conclude in termini profetici la narrazione di “un mondo che, al termine ultimo della storia, aleggerà pacifico e sereno intorno all’oro, esattamente come i pianeti danzano dolcemente intorno al sole”.
Filosoficamente descrive quindi l’emotività di quel compromesso alla violenza per cui un figlio è legato e vincolato al proprio padre, insieme descrive il caos della violenza e come, in successione, la calma torni nei sentimenti umani per mettere ordine nell’emotivo guazzabuglio della vita. Nella trama di Bart Millard, dopo l’arrivo dell’ordine trova spazio anche il perdono, in una zona franca dei sentimenti, dove si guadagna un pò del tempo perduto.
Tutto questo viene cinematograficamente elaborato, discusso, e con rara delicatezza messo in scena in Una canzone per mio padre. Confermando la tesi secondo la quale dopo il caos arrivi la calma, e che fuori dalle linee incomprensibili dell’umana violenza ci sia il più composto amore.
di Camilla Stella