Una decina di anni fa il colosso mondiale delle biotecnologie agrarie, l’incontrastata Monsanto Company, dava inizio, (in)consciamente, a una delle più grandi catastrofi sociali e ambientali dell’ultimo secolo; e come spesso e volentieri accade oggi nel mondo dei mass media, più il disastro si ingigantisce e più è ricacciato a fondo nel buco nero dell’informazione, tenendo tutti all’oscuro di fatti che dovremo conoscere di diritto, poiché potrebbero influenzare le nostre scelte quotidiane.
Da questo vuoto d’informazione nasce l’esigenza della realizzazione del documentario “Behind the Label”, da un’idea di Sebastiano Tecchio e Cecilia Mastrantonio, curatori del progetto. Il racconto, intervallato da testimonianze reali, mostra agli spettatori il processo dell’introduzione illegale in India, da parte della multinazionale Monsanto, di sementi geneticamente modificate, al fine di incrementare notevolmente la produzione delle piantagioni di cotone.
Il meccanismo che si è innescato dopo questa presa di potere non abbastanza ponderata è sostanzialmente questo: le sementi, vendute a carissimo prezzo, si sono rivelate l’unico acquisto possibile in un mercato troppo competitivo che non lasciava più spazio a coltivazioni naturali e i piccoli agricoltori locali sono stati costretti a indebitarsi fino al collo pur di acquistarli, incentivati dalle promesse di onnipotenza delle sementi OGM.
Il risultato? 216.000 casi di suicidio per disperazione e per vergogna, causate da garanzie che poi non si sono mai rivelate veritiere. Va poi di pari passo con la tragedia umana l’inesorabile catastrofe ambientale: impoverimento dei suoli destinati alla sterilità, moltiplicarsi di nuovi parassiti, moria di animali domestici e distruzione della flora nativa locale.
L’inchiesta, ricca di interventi di autorevoli personalità indiane che hanno prestato il loro sapere scientifico all’ambizioso progetto, è stata lanciata in anteprima nazionale a Firenze il 27 maggio 2012 e si è già aggiudicata il primo premio al Clorofilla Film Festival, organizzato da Festambiente. Ciò che distingue questo progetto da denunce altrettanto valide su fatti analoghi è senz’altro la proposta di un’alternativa, la presentazione di quello che è lo spunto che potrebbe portare al miglioramento di una condizione che sembra aver ormai toccato il fondo.
Il documentario, in maniera del tutto costruttiva, mixa le testimonianze del mito ormai decaduto degli OGM con interventi a favore dell’unica possibilità che potrebbe portare alla rinascita dell’India: la coltivazione biologica del cotone, rispettosa della biodiversità e dell’essere umano. Il senso profondo di questo progetto non è imporre un’idea, ma mostrare un problema e proporre un’alternativa. Lo spettatore non può che essere grato dell’impegno di chi ha voluto portare a galla degli eventi rimasti per troppo tempo sconosciuti, ma che hanno sulla nostra vita un’eco incredibile.
L’indagine, accompagnata dalle penetranti musiche del pluripremiato Riccardo Cimino, riguarda ognuno di noi in prima persona, dal momento che tutti, in misura diversa, acquistiamo e indossiamo cotone. Dietro l’etichetta, quel minuscolo rettangolo che ci comunica i dati anagrafici della nostra nuova maglia e che spesso non degniamo neanche di un’occhiata, si nasconde un mondo, un mondo fatto di inganni e di vite spezzate, di vere speranze e false promesse, ma quell’etichetta è soprattutto garanzia o meno di un prodotto che, a contatto con la nostra pelle, può non rappresentare un pericolo per la nostra salute o al contrario essere dannoso.
La soluzione non può essere imposta: ognuno di noi è libero di decidere cosa acquistare, l’importante è rendere sempre più cosciente la scelta da parte di compratori che sono informati sui fatti.
(di Marina De Faveri)