“Dietro i candelabri” è messo in scena da Steven Soderbergh.
Racconta in maniera sontuosa gli ultimi dieci anni di vita di Liberace, lo showman che, tra il 1955 e il 1970, fu il più pagato al mondo.
Il film non è un biopic, non ci racconta la vita dello showman cogliendolo all’apice del successo ma sull’orlo dei sessant’anni nel momento in cui si fa prendere dalla più forte relazione della sua vita.
Chi era davvero Liberace?
Liberace non era solo un grande pianista ma un vero intrattenitore che fece del kitsch il suo marchio di riconoscimento, presentandosi sempre carico di pellicce e lustrini in tenute a dir poco stravaganti.
Al termine di uno spettacolo gli viene presentato il giovane Scott Thorson e tra i due nasce da subito una relazione che durerà a lungo, al punto da spingere Liberace ad avviare le pratiche per l’adozione.
Liberace non è però solo il personaggio che ha fatto del kitsch un marchio di riconoscibilità (vedi i candelabri su pianoforti luccicanti quanto le sue mise), è anche un omosessuale che deve nascondere le proprie tendenze sessuali, perché, nonostante la liberazione dei costumi avviata alla fine degli Anni Sessanta, il mondo dello star system vuole poter continuare a ‘venderlo’ al pubblico più vasto possibile.
Con un eventuale outing molte fan avrebbero avuto un colpo al cuore, e anche il cachet.
Il film è basato sul libro autobiografico di Scott Thorson, che aveva 17 anni quando, nel 1977, conobbe Liberace, allora quasi sessantenne, e si traferì nella sua casa di Las Vegas.
“Dietro i candelabri” ripercorre con dovizia di particolari la tumultuosa relazione tra i due, fatta di affetto e dipendenza, che collassò quando Lee (così si faceva chiamare Liberace dagli intimi) s’invaghì di un altro giovane ragazzo.
Alle sorprendenti performance attoriali dei due protagonisti, Matt Damon nel ruolo del giovane Scott e Michael Douglas in quelli del vissuto Liberace, si deve il fatto di non fare troppo caso se i baci e i dialoghi maliziosi hanno luogo tra due uomini, perché si assiste a una storia d’amore appassionata, tenera e coinvolgente. Nonostante i due attori siano da sempre icone della mascolinità, riescono a rendere sorprendentemente credibile il legame sentimentale tra Scott e Lee, anche perché come afferma il regista “I due si sono veramente amati caratterialmente e rispettati come attori”.
Pur di compiacere in tutto e per tutto l’uomo che è diventato il suo intero mondo e di cui si è reso prigioniero volontario, Scott arriva a cambiarsi i connotati con interventi di chirurgia estetica e a sviluppare una dipendenza da anfetamine.
Lee, nel frattempo, è talmente preso da se stesso, dal suo narcisismo sfrenato e dalla paura di invecchiare, da non essere in grado di preservare il compagno dalla deriva intrapresa.
L’interpretazione di Michael Douglas è superba. Ha cercato di diventare in tutto e per tutto Liberace, modulando il tono della voce e atteggiandosi da navigato istrione dotato d’intelligenza, umorismo e generosità. Il suo è un personaggio composito, pieno di contraddizioni, profondamente religioso e sessualmente dissoluto, grottesco e malinconico, divertente e commovente.
Nonostante la storia descritta abbia delle morbosità, lo sceneggiatore LaGravenese ha saputo renderla davvero toccante.
di ( Martina Ingallinera)